Giochi dell'Oca e di percorso
(by Luigi Ciompi & Adrian Seville)
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"Eroiche imprese e umili fatiche: com’è dura la vita del soldato!"
Autore: Mascheroni&Tinti 
“A Monsignore il Duca di Borgogna,
Monsignore,
Tutta la Francia sa bene che tutti i giuochi son poco di vostro gradimento; e che ciò che reca il più piacevole divertimento ai Principi della vostra età vi pesa, a meno che necessità o benevolenza non vi obblighino a dedicarvi qualche momento. Così non avrei mai osato, Monsignore, presentarvi altro giuoco che non fosse quello della guerra, dove voi troverete riunite sotto diverse immagini ciò che già costituisce la materia delle vostre più serie riflessioni. Ed è attraverso questo studio che voi di giorno in giorno progredite nella Scienza degli Eroi ed è così che quando avrete occasione di far risplendere le alte conoscenze che possedete, Voi non considererete null’altro che un giuoco le più difficili imprese. Seppur non oso vantarmi che questa piccola opera possa aggiungere alcunché alla Vostra Intelligenza, avrò al manco avuto la consolazione di avervi dimostrato lo zelo ed il profondo rispetto che Vi porto. Monsignore.
Il vostro umilissimo e devotissimo servitore
J. Mariette”

Vestita d’armi e di pennacchi l’Oca fa il suo ingresso con incedere marziale a Versailles. E non poteva trovare miglior travestimento per eleganza di forme e serietà di contenuto negli anni in cui Luigi XIV andava trasformando l’esercito francese nel più potente d’Europa, facendo della guerra lo strumento privilegiato del suo dominio. La dedica si riferisce al “Jeu de la Guerre”, inventato e disegnato dal geniere “ordinario” del re, che come vedremo è un manuale di tattica figurato la cui precisione fin nei minimi dettagli riflette la perizia tecnica di chi, fabbricando e abbattendo fortificazioni, scegliendo o rendendo praticabili i percorsi, progettando gli accampamenti, determinava tanto spesso l'esito degli scontri. Lo spirito del war-game è ancora lontano e l’intelligenza strategica, se proprio si vuole, viene esercitata sulla classica scacchiera: qui, più semplicemente, i cortigiani e il giovane principe imparano a riconoscere, a nominare, a osservare, per riprodurre quelle stesse situazioni che da ufficiali affronteranno sui campi di battaglia. È dunque l’addestramento al comando, unitamente all’esaltazione di una macchina bellica perfettamente organizzata, lo scopo informatore di questo e degli altri passatempi a carattere militare in voga tra l’aristocratica gioventù durante il lungo, ininterrotto governo del Re Sole. I titoli vanno dal “Jeu des Fortifications” al “Jeu des Exercices Militaires” al “Nouveau jeu de la Marine”, mentre i più piccini si divertono con deliziosi soldatini di carta, per il Delfino il Sovrano fa dipingere una petite armée nel 1671. Ma la corte fa moda e il ceto medio imitatore la raccoglie prontamente: dalle botteghe di Rue Saint-Jacques ne debbono uscire parecchi di esemplari e con continuità, se ricompaiono ridotti a semplice schema sulle pagine dell’Encyclopédie, quasi cento anni dopo. Più o meno raffinati nell’incisione e pedanti nell’informazione, certamente sono più modesti nell’intento che, dichiara il compilatore, è quello di “dare un’idea” di tutto quanto accade in battaglia o ancora di “rendere familiari” i termini dell’arte marziale. Li troviamo così trasformati, coerentemente al pubblico cui sono destinati e alle dottrine illuministe, in “vocabolari” illustrati che il progresso della tecnica militare arricchirà via via di definizioni aggiornate. Eppure questo esercito così potente, così organizzato, questi allievi d’Accademia nutriti con tutti i mezzi alla Scienza degli Eroi saranno, durante la Rivoluzione, nettamente surclassati da una “banda di sanculotti”, guidati da nuovi ufficiali usciti dal popolo, meno eleganti e disciplinati certo, ma animati da più concreti ideali. Il soldato che aveva salvato la Francia si identifica pertanto con la recluta della leva in massa di cui Napoleone incarnerà non soltanto il valore, ma le folgoranti possibilità di carriera. Vediamo allora, durante gli anni del Consolato, far la prima timida comparsa in alcune “case” dei giochi militari, che dei più antichi conservano nomi e fisionomia, le figurine del Generale associate all’aquila vittoriosa, le decorazioni al merito sul campo. Il tema della promozione alle più alte cariche, grazie alle azioni di coraggio e alla totale abnegazione nei confronti della Patria, si afferma d’ora in poi nella vivace policromia delle tavole del primo Impero. Ne è un bell’esempio il “Jeu des Guerriers Français” dove, su due piani narrativi, si sviluppano, mescolandosi visivamente, la celebrazione di battaglie famose e della vita del coscritto, dalla partenza per l’Armata al conseguimento della Legion d’Onore. Abbandonata ogni velleità culturale, i giochi si presentano come strumento promozionale per l’arruolamento, sagacemente imbevuti di grandeur e di demagogia, caratteri che si manterranno costanti sino alla metà del XIX secolo. Senza voler sopravvalutare l’intenzionalità degli stampatori e il loro ossequio al regime, si consideri che in questo periodo compaiono i primi veri e propri piani di simulazione “per le persone destinate all’armi, che vogliono approfondirsi nella scienza col mezzo di giuochi... utile esercizio nei Collegi, ed anco in tutti gli Stabilimenti di Educazione”, riferisce nel 1830 l’ignoto inventore de “La Guerra, Giuoco di Napoleone Bonaparte.” Il popolo è servito ma gli ufficiali, quelli “destinati”, non si confondono certo con i piccoli fanti in giubba di panno che arrancano di casella in casella, tra corvées, vivandiere e marmitte, per raggiungere l’ambito riconoscimento, sia esso la carica di Maresciallo di Francia o la Croce di Guerra. In questa veste iconografica, il gioco si stabilizza e ovviamente conoscerà nuovi momenti di trionfo in seguito alle fortunate campagne d’Oriente e d’Italia. La struttura narrativa presenta modeste varianti: scandita dallo svolazzare di insegne e bandiere, dalle bocche di cannoni minacciosamente puntati, tra il luccichio delle medaglie e la varietà delle divise dei diversi corpi, si racconta la storia del povero Coscritto che sintetizza ormai tutti i luoghi comuni dell’ambiente di caserma. Relegata l’epopea negli angoli delle tavole, il gioco riprende curiosamente la natura del modello originario: ci si diverte come davanti a una raccolta di figurine, si sorride con simpatia dell’ingenuità del personaggio ma né pubblico né editori sembrano più credere a quella magia evocativa della realtà che il successo finale si ostina a proporre. L’anima e il messaggio profondamente popolari di questo tipo di stampe sopravviveranno immutati sulle pagine dei giornali satirici, nelle cartoline illustrate, nelle parole delle canzoni di truppa che torneranno tragicamente attuali durante il primo conflitto mondiale.

Le Jeu de la Guerre
Non sappiamo con precisione quanti anni avesse il duca di Borgogna quando ricevette in dono questo gioco, certamente era un ragazzo, e un ragazzo dalla vita ben triste se, come nella dedica avverte lo stampatore, non ama i giochi e i divertimenti praticati dai suoi coetanei. Ma non poteva essere diversamente per il primogenito del Delfino istruito e formato alla dura scuola di Fénelon che, incaricato di farne un re, lo aveva invece reso cupo, melanconico, bigotto, mediocre soldato e mediocre generale. La Storia ci consente così a posteriori di riguardare la bella tavola, databile intorno agli ultimi anni del XVII secolo, come un cortigianesco tentativo di far sorgere nel giovane principe una motivazione che gli era estranea. Del contesto politico e dello spirito del tempo che, inevitabilmente, superano il pretesto si è già detto ed è sufficiente un colpo d’occhio per riconoscerlo. Alla curiosità di ciascuno è lasciato il piacere di scoprire in ogni immagine una scenografia perfetta, una eleganza di forme e di movenze che sembrano ispirarsi ai “quadri viventi” tanto in voga alle feste di corte, piuttosto che al crudo realismo delle operazioni di guerra. Garantito il divertimento del gioco sul piano estetico, la struttura a percorso, resa vivace dall’alternarsi irregolare di vicende favorevoli o contrarie, aggiunge il gusto della competizione e dell’imprevisto. In più, premi e punizioni corrispondenti a prove di coraggio o a scontri sfortunati, alla resa del Nemico (tanto spesso citato e con la maiuscola, quasi a concretizzarne la presenza) o ai severi obblighi da assolvere, inducono il giocatore a una facile identificazione. Ora con uno dei “buoni ufficiali” protagonisti del sanguinoso scontro alla quattordicesima casa, ora con il comandante a cavallo che, riportata la vittoria, ne riceve il compenso in tanti gettoni quanti sono i partecipanti.


Gioco de Sig. ri Soldati Spiantamondo con le sue cariche e sopranomi
Sull’assenza di esemplari e di notizie riguardanti giochi analoghi di origine italiana, al di là della casualità del fenomeno pensiamo proprio che in un’Italia divisa in Stati, Regni, Ducati, Repubbliche e Principati, terreno di scontro per le potenze straniere, vittima delle razzie dei mercenari, la guerra tutto poteva essere tranne che pretesto per divertirsi. Al massimo si riesce a ironizzare, seguendo antichi modelli da commedia plautina, sulla figura del soldato borioso, “spiantamondo”, stolido combattente senza valore di un esercito senza patria, come dimostra il gioco di Francesco Maria Mitelli. La posta qui indicata, con consapevole e amaro spirito satirico, ben si contrappone alla meta del “Jeu de la Guerre” dove: "L’eroico valor che sì Gran Re corona / altro premio non stima della man che il dona.

Jeu du Conscrit
Avverte la premessa: “...Non è facile arrivare al Maresciallo di Francia, ché molti impedimenti si presentano prima di potervi giungere”. Badi, ad esempio, il coscritto giocatore a non capitare nella sesta casa perché, oltre a montar la guardia, gli toccherà pagare e proseguire... per annegare sotto il ponte levatoio. Se poi, perdutosi nel labirinto della vanità, si pavoneggia sul Corso, sia duramente punito con la retrocessione. Valgano i gradi a fargli raddoppiare i punti, lo zelo e la speranza! Salti di gioia nell’apprender la notizia che partirà per l’Africa e se le faccia tutte le campagne, dalla Crimea all’Italia, da Sebastopoli a Solferino: per il Re e per la Patria! “La completa abnegazione di sé; la continua indifferente aspettazione della morte; l’assoluta rinuncia alla libertà di pensare e di operare, gl’indugi, i freni a ogni ambizione; la possibilità di accumulare ricchezze, questo e altro crea in un esercito virtù che di rado s’incontrano in altre classi o in altre condizioni di vita. Il carattere militare è semplice, è buono, è paziente. Vi ha ne’ soldati educati alla scuola delle avversità e del pericolo qualche cosa di ingenuo e di infantile, forse perché la vita del reggimento ne ricorda un’altra, la vita del collegio..”


Jeu militare
...Ove si vede chiaramente come l'argomento sia divenuto pretestuoso per vendere un’occasione di divertimento “puro”, disimpegnato si direbbe oggi. Le regole dell’Oca vi sono applicate pedissequamente, senza alcun tentativo di trasformarle in contenuti didascalici aderenti al tema. Onore e sacrificio sembrano vaghi ricordi, confinati in due caselle neutre (al 22 e al 34) dove la degradazione militare non comporta punizioni e l’invalido non riceve premio alcuno; infine le bandiere, facendo raddoppiare i punti, suggeriscono una logica nazionalistica di maniera. È la storia della Francia nel decennio 1860-1870, costretta alla neutralità da Bismarck, frustrata nelle mire espansionistiche su Belgio e Lussemburgo, reduce dalla sfortunata “avventura messicana” che il soldatino sotto il sole cocente commemora al numero 16. Fogli come questo, poveri anche nella fattura, dovevano piacere a un pubblico di bocca buona, incline alla facezia, ridotto dalle scelte politiche a un sano e robusto provincialismo.


 

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