Giochi dell'Oca e di percorso
(by Luigi Ciompi & Adrian Seville)
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"Bonaparte Napoleone:le imprese, i motti e le sconfitte tra storia e leggenda.Come si costruisce una 'star' "
Autore: Mascheroni&Tinti 
Piccolo, muscoloso, facile ai raffreddamenti, incline alla collera, lo sguardo penetrante e ribelle di un eroe romantico, quest’uomo a cui la statura faceva difetto ha sconvolto le maglie della Storia non solo segnandola sui campi di battaglia, ma siglando con il suo nome un’epoca e trasformando il volto dell’Europa. Impressa, incisa, disegnata o dipinta da stampatori anonimi e da pittori famosi, l’immagine di Napoleone soldato-senza-paura, imperatore sprezzante o esule malinconico, si è moltiplicata nei repertori iconografici come un negativo continuamente sviluppato, occupando il nostro ricordo visivo fin dall’infanzia e diventando patrimonio popolare inalienabile. Ottimo manager di se stesso Bonaparte non era solo geniale stratega, ma sapeva anche come impressionare l’opinione pubblica e se i suoi discorsi sono ormai diventati esempi di allocuzione alle truppe, vessilli e stendardi segni di riconoscimento, le sue massime vengono ricordate come proverbi, e gli atteggiamenti, spesso allusivi di una personalità disturbata, fanno parte del repertorio di attori e commedianti. Tutto ciò perché mai come durante il periodo napoleonico, l’imagerie populaire ha lavorato tanto freneticamente. Nelle botteghe gli artigiani hanno un gran da fare a “stampare” Bonaparte su e giù da cavallo, sguainante una spada, nell’atto di auto-incoronarsi. I venditori ambulanti distribuiscono al popolino un suo fiero ritratto mentre attraversa le Alpi a ricordo della campagna d’Italia, David e Appiani, invece, lo immortalano per i nobili e la corte, lavorando spesso su commissione dello stesso imperatore. Il culto della personalità, l’esaltazione delle eroiche gesta hanno contribuito non poco a confezionarne la leggenda ancora da vivo. Tuttavia a Napoleone non sarebbe certo piaciuto che si “giocasse” sulle proprie imprese e questo potrebbe spiegare come soltanto dopo la morte venga stampato un gran numero di giochi a lui dedicati. Celebrare la vita di personaggi famosi è un compito che l’Oca assolve in più di un’occasione; già Luigi XIV ed Enrico IV avevano avuto tale onore, ma nessuno come l’esule di Ajaccio ne è stato un protagonista tanto prediletto. Le tre tavole presentate sono un campione significativo della popolarità che lo stesso soggetto ha mantenuto nel tempo, pur con diverse motivazioni storiche. E se nel “Jeu des Cosaques” (che vuole ricordare l’occupazione nemica di Parigi nel 1814) noi non lo vediamo, lo avevano ben presente i francesi: il loro cuore era con l’imperatore, vivo ma sconfitto e per la prima volta costretto a stare dietro le quinte della Storia.

"Jeu historique de la vie de Napoléon"(1821)
All’indomani della morte di Bonaparte, con impressionante tempestività, nell’officina di Jean si stampa questo “Jeu historique de la vie de Napoléon”, d’intaglio prezioso, che raccoglie con precisione cronologica e fedeltà di particolari le immagini miniaturizzate più significative della sua avventura di uomo e di soldato. Dalla pri-ma all’ultima casella, battaglie,ferimenti,episodi rinomati sono scanditi da slogan famosi. I pericoli sono anch’essi celebrativi di altrettanti atti di eroismo compiuti dal “piccolo caporale” come la visita agli appestati di Jaffa che non ebbe paura di toccare, il ferimento a Ratisbona, la battaglia di Montereau che lo vede sopravvivere per-ché “la palla di cannone che mi ucciderà non è stata ancora fusa!”. Costretti a ricominciare il gioco cadendo a Waterloo, bloccati per due giri nel labirinto di S. Elena, solo davanti alla morte ci si ritirerà dalla partita che si conclude con l’apoteosi di Bonaparte, rispettando le regole classiche del mito. La funzione positiva è qui ovviamente affidata all’Aquila Imperiale, alla Croce della Legion d’Onore e alla N iniziale circondata d’alloro con cui la madre, Maria Letizia Ramolino, pare si divertisse a segnare tutto: dalle posate ai vasi di fiori! Particolarmente interessanti gli angoli della tavola che, oltre a ricordare due leggendari atti di clemenza di Bonaparte, illustrano l’arrivo con la famiglia in Francia e il giovane Napoleone nel collegio di Brienne, già austero e distaccato, che dà una lezione di strategia ai compagni durante la sua prima battaglia... a palle di neve.

"Jeu du Grand-Homme"(1835)
Quasi vent’anni sono passati dalla morte di Bonaparte: la Francia non riesce a dimenticare la grandeur napoleonica, i soldati rimpiangono il loro capo e Luigi Filippo, per sostenere la traballante monarchia, ha tutto l’interesse a incoraggiare il culto di quell’uomo che aveva realizzato il sogno militare della Francia, dando prova di forza e di prestigio. Così gli strumenti di propaganda celebrano la scienza bellica, il coraggio personale, l’autorità di Napoleone e ancora una volta il nostro gioco trasmette puntualmente il messaggio, rispondendo alle richieste del momento. In questo periodo nelle botteghe di Rue Saint-Jacques c’è un gran rifiorire dell’iconografia napoleonica, ma l’urgenza di stampare, di far percorrere in fretta a Bonaparte le 63 caselle del circuito, produce una certa confusione; così le date si sovrappongono, gli stampatori s’interrogano: “C’è stata prima la battaglia di Rivoli o quella di Jena? E quando è avvenuta la presa di Ulm?” Non importa! Eliminato ogni scrupolo di rigore storico, tavole come la nostra non vogliono essere un’esatta documentazione, ma piuttosto far rivivere il “tempo” di quest’uomo divenuto ormai un simbolo. Il “Jeu du Grand-Homme” ne è solo un esempio. L’andamento cronologico riprodotto è quanto meno bizzarro e vediamo Napoleone, molto disinvoltamente, prima esule all’isola d’Elba, poi combattere a Tolone e trovarsi davanti alle Piramidi già da imperatore, per lo più intento a distribuire croci e medaglie al valore, a perdonare e commuoversi; sono qui infatti sottolineati gli angoli più leggendari della sua avventura umana. L’intento del gioco è tutto riassunto nell’immagine centrale: un piccolo parigino ammira la Colonna della Grande Armata: “Ah, come si è fiera di essere francese quando si guarda la Colonna!” è il commento del padre. E l’autore della tavola, forse un po’commosso nel ricordare momenti tanto gloriosi, non si accorge dell’ennesimo errore di stampa!

“Giuoco della Colonna della Grande Armata” (1840)
La moda, si sa, non conosce confini di sorta. Pochi anni più tardi nel territorio della duchessa di Parma, Maria Luisa d’Austria, nonché vedova Bonaparte, presso Luigi Lucchini, si stampa su ruvida carta rosa il “Giuoco della Colonna della Grande Armata”, copia... infedele dell’originale francese. L’autore nostrano non condivide il culto per l’eroe d’oltralpe e riesce a stravolgere la Storia ancor più del suo modello. Napoleone, i soldati, gli elementi di contorno, le didascalie, tutto insomma è ridotto ai minimi termini, e perfino il motto dell’Aquila Imperiale, “La Gloria fu sempre sua guida”, viene sbrigativamente risolto in “La Gloria ecc.”! Non c’è tempo, il gioco si vende bene, bisogna tirarne tanti esemplari; non importa se date, nomi di città e di personaggi sono cambiati: Schonbrunn diventa Parigi, Vienna, Berlino; Francesco II (non si capisce proprio perché) è scambiato con il generale Desaix. Napoleone, poi, figurina tra tante, si riconosce solo quando infila la storica mano nella giubba e anche la traduzione lascia a desiderare, dando origine a battute quasi comiche come: “Onore al coraggio disgraziato!” Ultimo tiro di tanta superficialità, la tavola risulta l’esatto rovescio dell’originale, come una carta assorbente mal riuscita.



“Jeu des Cosaques” (1815)
Parigi 31 marzo 1814: i cittadini, sbigottiti e increduli, vedono i Champs Elysées trasformati in accampamento dai cosacchi. Napoleone non è riuscito a salvare la capitale e la sua genialità strategica, l’animosità dei soldati troppo stanchi, poco avevano potuto contro gli eserciti di Russia, Prussia, Austria e Inghilterra che lo avevano braccato per tutta la Francia. Il “Jeu des Cosaques” ha il valore di una protesta contro tartari, calmucchi, siberiani che occupano i faubourgs e i boulevards di questa città tanto civile e raffinata, fino a poco tempo prima capitale dell’impero, della cultura e della moda, così come l’aveva voluta proprio Bonaparte. Come si vede, l’equipaggiamento dei cosacchi è rozzo e primitivo: frecce, archi, scimitarre e lance sono le loro armi, bizzarri copricapo di pelo, pantaloni sbuffanti e lunghe tuniche le loro divise. Ma l’autore della tavola non può dimenticare che questi soldati, così diversi dai militari francesi, rappresentano lo zar di Russia e gli agenti della Restaurazione, sfilando fianco a fianco con le truppe del duca di Wellington e di Metternich. Non è certo l’aspetto folkloristico, i costumi e le bardature o la diversa provenienza geografica di questo popolo che il gioco vuole sottolineare, ma il comportamento incivile, la rapacità dei cosacchi che in numerose caselle saccheggiano fattorie, derubano feriti, rapiscono fanciulle. L’impressione e la paura suscitata dalle loro scorrerie nelle campagne francesi fu così grande che ancora oggi nel gergo popolare “ j'ai été cosaqué” significa “sono stato derubato”. “Ma non è assolutamente facile” (come viene sottolineato nel centro) arrivare ai Champs EIysées, perché il cosacco, intrappolato nella palude, ferito, disarcionato da cavallo, può essere anche ucciso o messo in fuga. Il “Jeu des Cosaques” diventa il gioco dell’occupazione nemica per antonomasia. Quando i soldati di Hitler (ben diversi da questi rozzi abitanti del Don) sfileranno ancora una volta ai Campi Elisi con passo meccanico (..dell’oca!!!) e la divisa lucida, la tavola verrà ristampata e, osteggiata dalla censura tedesca (l’allusione era troppo manifesta), circolerà clandestinamente. A distanza di un secolo, il gioco aveva saputo conservare il messaggio di allora.
 

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