Giochi dell'Oca e di percorso
(by Luigi Ciompi & Adrian Seville)
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"Dall’Unità alla Rivoluzione, la storia d’Italia è un gioco per tutti. Nel Labirinto delle dispute religiose si avventurino solo gli iniziati"
Autore: Mascheroni&Tinti 
Ci sono modi diversi per conoscere gli avvenimenti storici più significativi di una nazione: indagare i documenti originali, leggere le memorie dei protagonisti, cucire insieme le immagini più famose, riascoltare melodie e slogan dell’epoca. Noi abbiamo affidato alle tavole che presentiamo il compito di raccontare alcune tappe miliari della storia italiana: l’Unità, il primo conflitto mondiale, il ventennio fascista, le elezioni politiche del 1948; ci sembra che i nostri giochi riescano a illustrare questi momenti restituendoci intatta l’atmosfera di allora. Ovviamente distinti tra loro non solo per l’intento celebrativo o di propaganda, ma anche per impaginazione, grafica e struttura, la caratteristica che però li accomuna è l’evidenza del messaggio, la comunicazione scoperta; parlano infatti da soli senza dover usare particolari chiavi interpretative. Per contrasto, a immagini così facili da leggere e così semplici, abbiamo contrapposto “Le jeu de la Constitution” del 1719, una tavola preziosa, tutta da decifrare, dove perfino le regole nascondono allusioni; per giocare bisogna conoscere i codici cifrati che regolavano le dispute religiose e politiche di allora, insomma più un passatempo per appassionati filologi. In questo nobile precedente dei giochi di propaganda il messaggio è ermetico e nascosto... altro che l’immagine allegorica dell’ Aquila a due teste austro-ungarica o la bandierina a stelle e strisce firmata USA!


L’Italia del Secolo Decimonono
All’indomani dell’unità d’Italia, nel numero del 25 febbraio del 1861, “La Cicala Politica, giornale umoristico con caricature” annuncia che è in vendita presso la sua sede di Piazza S.Vittore 11 o dall’Editore Edoardo Sonzogno, “L’Italia del Secolo Decimonono, ossia il nuovissimo giuoco inventato da Puff e disegnato da Don Ciccio”, al prezzo di 25 centesimi in bianco e nero e 50 centesimi se “colorito”. Questo foglio milanese, nato nel 1859, acerrimo nemico della “Perseveranza” (giornale della destra conservatrice) e meno conosciuto del più popolare “Il Fischietto”, esce il giovedì e la domenica con quattro pagine di brevi note satiriche, “cicalate”, annotazioni di costume che puntano soprattutto sulla caricatura di personaggi politici famosi. All’unità de paese mancano ancora Roma e Venezia, la politica è in mano ai piemontesi, Vittorio Emanuele “Re d’Italia per grazia di Dio e volontà della Nazione” parla più francese che italiano e risulta alquanto incomprensibile ai picciotti siciliani che credono il suo primo ministro, conte Camillo, sicuramente straniero...per via del cognome Cavour. Garibaldina e interventista, contro attendismo e diplomazia, anticlericale e repubblicana, “La Cicala”, irreducibile grillo parlante con grosse lenti, forbici, stilo appuntito celebra, a modo suo, l’evento storico illustrato nelle 61 caselle del gioco dove le maschere più famose, allusive dello spirito popolare, scandiscono il percorso. La “povera” Italia, fanciulla incatenata e sofferente, è facile preda della rapace Aquila austro-ungarica (attenzione però: una tiara e un cappello da ecclesiastico sono i copricapo del feroce volatile a due teste!) che viene sgozzata e infilzata a dovere da divertiti Moneghini. Le “note dell'autore” spiegano regole e pericoli: gli uomini celebri del Risorgimento fanno raddoppiare i punti, la Santa Alleanza fa ricominciare il gioco come la Diplomazia che uccide il diritto e le aspirazioni dei popoli, davanti al “Colera” si scappa e a Villafranca si sta fermi tre giri...”per riaversi dallo stupore”. Spezzate le catene, a colpi di spada, tra Garibaldi e Vittorio Emanuele, l’Italia... degli italiani è come un sole nascente. Tra tante celebrità manca qualcuno però: quel Mazzini di Genova, repubblicano e radicale... che sia forse un segreto collaboratore della “Cicala?

Questo è il Giuoco dell’aquila sotto mentita veste
“Tutti a casa per Natale” era lo slogan più in voga nel 1915 quando ancora si era convinti che la Grande guerra avrebbe avuto vita breve, ma, dopo le prime azioni belliche, chilometri di trincee impediscono agli strateghi da tavolino di far avanzare le loro bandierine colorate e migliaia di uomini muoiono da entrambe le parti per far avanzare il fronte di soli cento metri. Mentre gli elenchi delle perdite si allungano sempre più, l’equipaggiamento dei soldati si rivela insufficiente come la preparazione tecnica dei capi. La guerra assume così i suoi connotati più crudeli, tanto diversa dall’avventura eroica esaltata da D’Annunzio e futuristi. Per mantenere vivo il consenso e cancellare pericolosi interrogativi dell’opinione pubblica sempre più perplessa sull’utilità di questa impresa bellica così a lunga scadenza, il manifesto si rivela prezioso strumento di comunicazione, un mezzo di persuasione popolare a grande tiratura. Certo, non è più quello della Belle Epoque. Scomparsa la réclame per le corse ippiche o l’inaugurazione dell’ultimo Café Chantant alla moda, cancellate le immagini di bianche limousine, signore affascinanti, giovani spensierati, oggi è al servizio della guerra. Il ministero del tesoro ne fa largo uso per promuovere la propaganda del Prestito, nel 1915 esce il primo manifesto per l’acquisto delle azioni emesse da vari istituti bancari, con le quali si unisce il patriottismo al frutto di un tanto per cento. Se si vedono ritratti toccanti di reduci mutilati sottolineati da parole come “per la Patria i miei occhi, per la pace il vostro denaro”, si canticchiano anche facili ritornelli:

“Se non si vince la Guerra siam fritti
noi tutti i franchi, i tuoi cento – sta’ attento!
varran men di quaranta e di trenta,
poi piomberan nello zero diritti.
Se ci prestiam alla Patria,
...ne avrem lode ed onori
se ci neghiam - hai sentito - vien Nitti
ci prende tutti... ed addio suonatori!”

Ma i “nostri ragazzi” al fronte hanno bisogno proprio di tutto e ogni città viene mobilitata per raccogliere generi alimentari, calze di lana, guanti e tabacco. In cambio si regalano distintivi, bandierine, piccole cose fatte a mano e, perché no, tavole di giochi dell’Oca come il nostro, edito dal Comitato patronesse, una delle tante efficienti sezioni che lavorano per l’Assistenza pubblica milanese. Forse non tutti sanno che nella prima guerra mondiale gli animali rivestono una duplice importanza e vengono “usati” con valenze assolutamente diverse. Accanto a cavalli e cani impiegati quotidianamente al fronte, anche i canarini servono per scoprire la presenza di gas nelle gallerie scavate dai soldati e i piccioni in Inghilterra recapitano importanti messaggi segreti. I disegnatori invece ne sfruttano l’aspetto simbolico e ogni animale rappresenta una nazione. Il vecchio e regale leone inglese, il gallo con berretto frigio della rivoluzione di Francia, l’orso russo forte e indomito, l’aquila a due teste austro-ungarica “bestia grifagna, stolida, che squarta, sgozza, scuoia, che ha la forca per gruccia, ed ha per cuoco il boia". Come nella tavola precedente contro di essa si concentra tutto l’odio patriottico (ma qui con maggior ferocia) e il povero volatile, persa ogni maestosità, subisce terribili torture. Vogliamo lasciare al lettore il piacere di gustare le rime che accompagnano ogni casella, scoprire i facili riferimenti come il “labirinto” di Bulow, il “pozzo” di Vienna, la “morte” di Cecco Beppe. Il momento storico viene illustrato senza toni drammatici: una figurina e due righe di didascalia. Bersaglieri, alpini, crocerossine, luoghi di guerra, ritratti di uomini politici da Salandra a Vittorio Emanuele III, tutto è raccontato con semplicità. L’eroismo è premiato, la viltà punita, il nemico sconfitto e nella finzione ludica ogni cosa è più facile, c’è in fondo un invito a sperare, a lottare:

“Moltiplica l’ardor che ti trasporta,
Ancor un colpo e sfonderai la porta.
La vittoria, che qui è soltanto un gioco,
il tricolore bacierà tra poco.”


Carosello del riso
È noto a tutti che, tra le molteplici eredità, il fascismo ci ha lasciato una serie di modelli umani e di comportamento, un vastissimo campionario di simboli, un fitto copione di battute e modi di dire. L’eroe dalla mascella quadrata e petto possente, la giovane italiana cui la divisa con gonna a piegoni non donava, causa la mediterranea rotondità, il balilla un po’ sofferente sotto il fez di una misura in più che gioca alle parate, se sono degenerati in facili caricature del felice umorismo retrospettivo, allora erano archetipi a cui conformarsi. È fin troppo semplice fare della retorica alla rovescia, commentando le immagini di un regime dove tutto viene esaltato, si comunica solo con imperativi categorici e la normalità è sinonimo di disprezzabile conformismo. Queste le parole d’ordine imposte dalla propaganda. Accanto alla più famosa battaglia del grano che vede Mussolini a torso nudo, molte altre iniziative vengono sostenute dal fascismo per esaltare non solo la produzione agricola nazionale, la bonifica delle paludi, ma anche per “ridare dignità” all’homo rusticus. E la terra, risorsa primaria di ogni paese sottosviluppato, viene consacrata dalle simulazioni rituali del condottiero.

“In un nimbo tutto luce / la dea Roma appare al Duce.
Scava orsù l’itala terra / per la pace e per la guerra
...e ciel, mar, terra, natura/ sian tutta un’aratura."

Anche le fiere agricole che si svolgono in ogni angolo del paese vengono utilizzate e incoraggiate dalla propaganda come mezzo per accrescere la partecipazione delle masse rurali alla vita nazionale.L’Ente dei Risi Tipici Italiani nasce in questi anni e il Carosello del Riso edito nel 1937 ricostruisce come in un puzzle dalla grafica ingenua, senza eccessivi accenti retorici, l’ambiente contadino con mondine che cantano, grassi fattori, osterie e immagini familiari. Il messaggio politico è affidato al centro della tavola che ci illustra le qualità del riso, l’importanza della sua produzione, i vantaggi economici che ne derivano; oltretutto “il riso è salute”. I sacchetti che premiano il giocatore fortunato si chiamano Carolina Imperiale o Diamante, Vialone Sublime, come si vede un tocco di superlativo non manca. C’è perfino un ascetico mandarino cinese a garantire l’antichità del rito culinario, mentre Gargantua sembra scoppiare di soddisfazione dopo una scorpacciata a base... di riso, naturalmente!


Il Giuoco dell’UNPA
Nel 1934 il vocabolario fascista si arricchisce di una nuova sigla: U.N.P.A., Unione Nazionale Protezione Antiaerea che nel suo padiglione alla Fiera di Milano espone per la prima volta vari modelli di maschere antigas. Tutti sono invitati a provarle, a familiarizzare con questa novità che trasforma il volto degli italiani, civili e combattenti, ricordando l’antica celata medievale. “Se l’aratro traccia il solco, è la spada che lo difende”: in questo periodo il Duce indossa sempre più raramente cilindro e ghette bianche, preferendo divise militari. La nazione viene addestrata alla guerra, si istituiscono corsi premilitari per i giovani, la cultura bellica viene regolarmente insegnata a scuola, molti temi hanno come titolo ”Cosa bisogna fare quando suona l’allarme” e in tutte le città si svolgono bombardamenti simulati. Il gioco dell’U.N.P.A. vuole divulgare alcune norme di difesa che devono diventare abituali soprattutto per coloro che abitano in grossi centri industriali. Si impara così a non osservare le evoluzioni degli aeroplani (tanto meno commentarle), spegnere accuratamente tutte le luci, chiudere il gas, aiutare gli invalidi a raggiungere il più vicino rifugio, non velocemente, ma con “CALMA, CALMA, CALMA”. Questo è infatti il requisito più importante e la parola viene sottolineata da una grafia da altoparlante; se si trasgredisce, la punizione sarà durissima. Come nella tavola precedente l’impaginazione senza pretesa, l’illustrazione quasi da vignetta riescono a farci sorridere, dissociando per un attimo l'immagine dalla grave occasione storica che l’ha provocata. Gli aeroplani infatti non hanno nulla di minaccioso così simili ai primi apparecchi delle transvolate oceaniche, il rapporto di proporzione tra uomo e bomba è quasi caricaturale e la “città come al nemico si presenta di notte se tutti osservassero le buone norme”, è un francobollo tutto nero. La tavola è omaggio della farmacia H. Roberts che si affretta a precisare che tutti i suoi prodotti sono italiani. Sempre meglio chiarire per via di quell’acca puntato Roberts tanto anglosassone, visto che le controsanzioni linguistiche e la depurazione del lessico sono in atto. Gli italiani si danno del voi, non si possono usare parole come paletot e flirt, per chi non lo sapesse, l’uovo à la coque è l’uovo al guscio!


Il Giuoco dell’Oca del Vero Italiano
Italia 1948: si balla il boogie-woogie, vespa e lambretta danno l’ebbrezza della velocità, l’opinione pubblica si appassiona per i processi a Rina Fort e Pia Bellentani, Lucia Bosè è Miss Italia, Christian Dior impone il new-Iook (gonne lunghe e tanti volants), si gioca alla Sisal, la Wandissima dispensa rose e sorrisi. Da un osservatorio astronomico si avvista una cometa a quattro code: sarà di buon auspicio per il Bel Paese che, nonostante i lustrini dell’avanspettacolo, conta due milioni di disoccupati, vive con il razionamento dei generi alimentari, fatica a riaprire le fabbriche e porta ancora i segni evidenti di una guerra devastante? De Gasperi accetta gli aiuti economici americani previsti dal Piano Marshall e come contropartita l’estromissione delle forze di sinistra dal governo. Tutto è made in USA: si scopre il DDT, si usa il nylon, si paga in “am-lire” (la moneta introdotta dagli alleati), perfino le strade vengono indicate anche in inglese. Ma il 1948 è soprattutto l’anno delle elezioni politiche per il primo parlamento repubblicano, orgoglioso di una costituzione appena nata, e forse mai come in questa occasione gli strumenti di propaganda lavorano per convogliare consensi e adesioni. In fondo, al di là dei frazionamenti partitici, lo scontro è circoscritto tra fronte democratico popolare e democrazia cristiana, fra comunismo e anticomunismo, vale a dire tra America e Unione Sovietica. La campagna elettorale è accesa e vivacissima: non si sprecano caricature e feroci battute. Sulle pagine del Candido di Giovannino Guareschi, i comunisti sono trinariciuti e ottusi, danno prova di “obbedienza pronta, cieca ed assoluta”, fermati all’ultimo momento dal famosissimo “contr’ordine, compagni!” La tavola del Giuoco dell'Oca del Vero Italiano con semplicità di impaginazione riassume tutti i modi di dire e di pensare più abituali del momento, usando una simbologia facile e immediata. “Inforcati gli occhiali per vederci chiaro” non si ha il minimo dubbio sul voto che può essere uno solo, guidati dalla statua della libertà che regala benzina, carbone, sigarette Camel, abbondanza, fa riaprire le fabbriche e sconfigge perfino le malattie più gravi con la penicillina. Agitatori, sovversivi e sabotatori vengono colpiti severamente, mentre a un passo dalla meta c’è la punizione più dura: una lunga fila di deportati nella campagna deserta coperta di neve, tanto simile a quella siberiana. Accanto a Cristoforo Colombo e Giuseppe Mazzini, immagini rassicuranti per la coscienza nazionale, sventola la bandiera a stelle e strisce. Mescolati a immagini dal valore puramente decorativo ci sono alpini, bersaglieri e anche il signor Bonaventura che, in versione yankee, dispensa miliardi di... dollari per la causa italiana, Baffone invece ha infidi occhi a mandorla e una faccia da luna troppo asiatica. Al centro infine si scaricano i preziosi rifornimenti delle liberty-ships, le navi della libertà. Il gioco funziona se, come aveva previsto con buona approssimazione il primo sondaggio Doxa, sulla base del metodo Gallup “ampiamente collaudato in America”, la democrazia cristiana raccoglie il 48,5 per cento dei consensi.


Le Jeu de la Constitution
Eresie, scismi, formazione di sette religiose, accese controversie, la storia della Chiesa (soprattutto nel XVI e XVII secolo) è anche storia di devianze, contro cui l'ufficialità risponde con scomuniche, bolle pontificie, investendo il Tribunale dell' Inquisizione (supercensore dell'epoca) di poteri assoluti. Si fanno processi alle streghe e alle idee, i libri proibiti sono messi all' indice per controllare il dissenso e rafforzare l'influenza della religione in campo politico e culturale. Con la rivoluzionaria invenzione della stampa, anche le dispute ideologiche perdono il carattere di asettiche dissertazioni tra dotti, acquistando risonanza, suscitando commenti a corte, nei salotti, nelle università. Questa premessa è inevitabile per capire, oggi, l'atmosfera in cui nacque alla fine del 1600 il "caso" Giansenio, una delle querelles più accese e dibattute dell'epoca. L'occasione, ancora una volta, è un fatto di stampa: la pubblicazione nel 1640 dell'Augustinus di Giansenio, vescovo di Ypres, dottore in teologia a Lovanio, in cui l'autore disserta di predestinazione, si interroga sul problema della Grazia, della possibilità di salvezza o dannazione. Come si vede, tutte questioni di notevole spessore nei confronti delle quali la Chiesa di Roma non ammette dubbi o diverse interpretazioni. Da questo momento si scatena la disputa religiosa, la cui storia, intricatissima e difficilmente riassumibile, è caratterizzata da prese di posizione pro o contro Giansenio. Bolle pontificie, richieste di ubbidienza senza condizioni, condanne ufficiali non riescono a bloccare l'eresia e a zittire i suoi seguaci che si trovano a Port Royal, abbazia dove si fa cultura, e contano tra i loro sostenitori intelligenze come Pascal. Essere giansenisti vuol dire anche osteggiare il potere assoluto della Chiesa e dello Stato, voler autonomia di pensiero, non uniformarsi ai dettami del Papa o del Re Sole. Nel 1713 con la bolla Unigenitus Dei Filius Clemente XI condanna le "Réflexions morales" di Quesnel, un atto d' accusa troppo dotto e pericoloso nei confronti del potere di Roma. Per evitare sotterfugi interpretativi, in cui i giansenisti si erano rivelati abilissimi, si condannano gli "errori" (contenuti in quest'opera che riassume tutta la dottrina sotto accusa) distinti, scelti e sistemati in “proposizioni”, chiamate “Costituzione”. Ben centouno “no” dicono i vescovi del Concilio contro i quali si appellano quattro prelati francesi, suscitando consensi, imitati da molti altri ecclesiastici ribelli. Per distruggere definitivamente l’eresia si abbatte Port Royal e i giansenisti, scomunicati e sconfitti, si rifugiano in Olanda, unendosi alla Chiesa scismatica di Utrecht. Questi gli avvenimenti. E il nostro gioco? È pro o contro Giansenio? O forse l’autore, che ha mantenuto l'anonimato, paragonando ironicamente la storia della Costituzione a un racconto di Mamma l’Oca, vuol prendere le distanze sia dalla religione ufficiale sia dall’eresia? Certo non difetta nell’uso simbolico di difficile lettura questa tavola, dove le regole, stese in bella calligrafia, lette e rilette, lasciano sempre qualche perplessità. L’unità della Chiesa cattolica rappresentata dall’Arca al numero 1 viene spezzata, sul ponte-gimcana alcuni vescovi barcollanti rappresentano le “Esplicazioni” presentate dai dissidenti, lo scisma è una veste lacerata, il labirinto (che sembra un rosone da cattedrale gotica) è “l’Errore dove caddero coloro che sottoscrissero la condanna delle 101 proposizioni”, il pozzo però nasconde la Verità, la torre di Babele rappresenta “la confusione del linguaggio della Fede nella diversità dei Sensi”, i quattro prelati appellanti trovano posto al 51, invano richiamati dal cardinale de Soisson con corno, tromba e oboe; c’è anche Luigi XV al 55 e la prigione vuol dire Bastiglia. La morte è Clemente XI, scheletro con tanto di tiara (in atto di assoluzione o di condanna?) e il cardinale de Noailles, perseguitato sostenitore giansenista, è a un punto dal Concilio dei Vescovi, ovvero il giardino dell’Oca. Le combinazioni numeriche del 9 rappresentano gli Atti di Appello, le richieste di revisione da parte degli ecclesiastici francesi; gli Apostoli sostituiscono le Oche che impettite e decorate ritroviamo a Concilio negli angoli della tavola. Sospeso ogni giudizio storico, nel gioco, la Sorte, unica sovrana, deciderà della controversia. Si leggano i dadi: se esce 12, “ gli appellanti vincono la partita, entrano nel Concilio, affermando la dottrina giansenista.”


 

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