Giochi dell'Oca e di percorso
(by Luigi Ciompi & Adrian Seville)
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"Tra i gorghi della Scienza e le tempeste d’Amore va la nave della Gioventù in cerca della Felicità"
Autore: Mascheroni&Tinti 
Leggere e scrivere
“Ci si preoccupa enormemente di cercare metodi per imparare a leggere, si inventano tavole, carte; si fa della stanza del bambino un laboratorio di stamperia. Locke vuole che impari a leggere con dei dadi. Non è una bella invenzione? Che Pietà! Un mezzo più sicuro di tutta questa roba, e quello che sempre si dimentica, è il desiderio di apprendere. Date al bambino questo desiderio, poi lasciate da parte tavole e dadi, ogni metodo sarà buono per lui.”(Emile, II,14)Nello scrivere questo accorato e fiducioso appello, forse Rousseau aveva in mente, tra i tanti, un gioco didattico fresco di stampa proprio negli anni in cui progettava il suo Emile. Pubblicato nel 1753 “Les épines changées en roses” riassume in settanta caselle un sistema infallibile (inaugurato da M.lle Duteil che se n’è servita con successo prima di presentarlo al pubblico) per insegnare a leggere ai bimbi in breve tempo. La tavola è davvero gradevole per le incisioni di animali, fiori, oggetti del paesaggio domestico o fantastico del mondo infantile che accompagnano, a mo’ di esempio applicativo, vocali, consonanti e dittonghi: “A di Asino, B come Beccaccia e Bomba, P che si pronuncia in Talpa.” Non molto dissimile, come si può vedere, dal metodo con cui sino a vent’anni fa affrontavamo la stessa fatica, né manca, espresso nelle regole pedanti del gioco, quello stesso spirito classificatorio che, da Port Royal, sopravvive intatto nelle nostre grammatiche.

Un modello da imitare
Giunto al Palazzo della Lettura, superate le spine di regole da recitare, di eccezioni da ricordare, il giovanetto salirà su un vascello che lo condurrà dopo un lungo allegorico viaggio al Paese della Felicità. Gli sarà guida Minerva, dea della sapienza, e modello Telemaco, figlio di Ulisse, rivisitato in chiave morale, ad usum delphini, dall’intramontabile educatore di Francia: Francesco Salignac de la Mothe, Marchese di Fénelon, Arcivescovo di Cambrai, nominato reale precettore del duca di Borgogna nel 1689. Ideate e scritte per riuscire a domare il difficile carattere dell’illustrissimo allievo attraverso un apologo edificante e al tempo stesso appassionante, “Le avventure di Telemaco” narrano dell’impetuoso principe, più vivace e attivo di quello omerico che, spinto dall’amor filiale, va per antichi regni, sopportando molte avversità, alla ricerca del padre smarritosi nel suo ritorno da Troia. In questo pellegrinaggio impara a conoscere i vari costumi di remote civiltà, vede gli esempi ora buoni ora cattivi dei re presso i quali si ferma e trova molteplici occasioni per diventare forte e uomo. “Io vi lascio”, dice Minerva che lo ha sin qui accompagnato sotto le sembianze di Mentore, “ma la mia saggezza non Vi lascerà così che voi capiate che nulla potete senza di Lei. È tempo che voi impariate a camminare da solo...” e il commiato è fedelmente illustrato e trascritto al centro della tavola del gioco, stampata nel 1814, più di un secolo dopo la pubblicazione dell’opera letteraria. Il fenomeno non stupisce. La Restaurazione trova nel Télémaque la summa dei valori che la caratterizzano: ordine morale, monarchia legittimata per diritto divino, famiglia, religione, pace. Il tutto già confezionato con greco-romana classicità che tanto rispondeva al gusto del tempo, si trattasse di quella primigenia amata dai liberali o di quella rielaborata dal Grand Siècle, ovviamente più cara ai legittimisti. Ormai dimenticate le polemiche alimentate a corte dai nemici di Fénelon, che avevano attribuito al romanzo intenzioni satiriche antiregaliste, e l’irriverente parodia scritta da Saint-Just durante la rivoluzione, il Télémaque viene dunque riesumato, ristampato e imposto alla cultura delle nuove generazioni che non se ne libereranno facilmente. Si legge infatti in un manuale del 1860 per l’educazione delle giovani madri una vivace testimonianza della sua, pur contestata, sopravvivenza: “Mi presento dunque a questo Collegio e domando all’istitutrice qual è il libro di lettura di cui si serve. Signora, mi dice, è Télémaque. Télémaque? dico io. Sì, Signora, Télémaque di Fénelon. 'Ma questi poveri bambini non possono imparare nulla da tale opera. O, Signora, e Giunone, Minerva, Giove, Nettuno, Plutone? L’argomentazione è riduttiva. Altroché se possono imparare, e non soltanto i nomi e gli attributi delle divinità che anche la traduzione figurata offerta dal gioco ci mostra disseminate lungo il percorso in veste di benefiche dispensatrici di punti. Il soggetto è ghiotto per un disegnatore di gusto neoclassico che si sbizzarrisce in ridondanti decorazioni a base di panoplie e trionfi, in quadri ricchi di pathos e di epica monumentalità: are, pepli, capitelli, braccia tese a indicare mete lontane, non importa dove, certo non di questo mondo vano e mortale... In più c’è l’alibi dello spazio visivo limitato, imposto dal numero fisso di caselle, che consente di scegliere, fior da fiore, gli episodi più “dimostrativi” dell’originale letterario e di censurare quelli in cui la vacillante virtù di Telemaco o la sensualità dei più maturi cointerpreti d’azione potrebbero turbare la pudore dei giovinetti. Nel rispetto della filosofia che de Maistre, il pensatore più tradizionalista di quegli anni, andava proclamando, le vicende del nostro eroe, anche le peggiori, son sempre manifestazioni della provvidenza. E se, sbarcato all’isola di Citera, invitato ai riti “pieni d’impudicizia e dissolutezza” celebrati da Venere, prima si sdegna poi ci sta (ma non si vede!), si pente, piange e riparte disprezzando “a vita” le debolezze della carne. E quanto apprende sulla natura femminile grazie alle donne che incontra! Calipso e le sue ninfe gelose, isteriche, vendicative che incendiano il vascello pur di non lasciarlo partire, per non parlar di Astarbe affascinante “rovina-famiglie” che, preso il posto della regina di Tiro, in breve tempo tradisce il marito e poi, non contenta, lo avvelena. E mentre Venere, aiutata da Calipso, ne combina di tutti i colori, provocando ingenui ma sempre funesti innamoramenti, tempeste e miraggi di falsi ritorni in patria, Minerva, asessuata dea della saggezza, trae sempre d’impaccio il suo pupillo, ma soprattutto gli dona straordinarie lezioni sull’amministrazione dello Stato. Quel che del testo è riassunto in otto caselle, dalla quarantesima alla quarantottesima, è l’opera pacificatrice di Mentore, occasionale consigliere di Idomeneo: “Ordinò che tutti gli operai occupati in città a fabbricare cose superflue o apportatrici di viziosi costumi fossero mandati a coltivare i campi abbandonati. Impose tasse e multe fortissime a tutti coloro che lasciavano incolte le loro terre ed assegnò premi e privilegi a quelli che producevano di più. Proibì il vino, che è fonte di grandi mali nel popolo: causa malattie, risse, tumulti, vagabondaggio, disordine nelle famiglie... Così ciascuno, obbligato dal proprio interesse a un intenso lavoro produttivo, contribuiva con tutte le forze a formare anche la vera prosperità dello Stato.” La ricca borghesia capitalista, che era ormai il più forte sostegno del regime, non poteva trovare più sublime apoteosi e forse coltivava, attraverso l’apparente neutralità politica di un gioco, il pubblico consenso.

Le fiabe
Dalle dimore dell’Olimpo si può anche discendere (per fortuna!) e sedersi accanto al fuoco in più modesti ma tranquilli salotti o nelle cucine dove si trova sempre una nonna o una cuoca disposte a raccontare favole. Meglio ancora se per aiutare la memoria e stuzzicare la curiosità ci si serve di una divertente riduzione in vignette “da giocare”, come quella edita nei primi anni dell’Ottocento dal sempre fantasioso Basset. Ne sono protagonisti gli animali parlanti di Esopo, secondo la tradizione antica rinnovata di recente da La Fontaine, che costituisce ormai un caposaldo della letteratura moraleggiante per l’infanzia. Rampolli dell’aristocrazia e figli del popolo si formano in questo modo le prime esperienze di quelle passioni e di quei sentimenti, così diffusi e confusi nel mondo dei grandi, che non riuscirebbero altrimenti a percepire. È una pedagogia basata sull’esempio da non imitare, odiata da Rousseau perché tanto spesso occasione di scandalo: “Io mi domando se a dei bambini di sei anni bisogna insegnare che gli uomini mentono per loro profitto,” scrive, ma il lupo, il leone e la volpe continueranno senza sosta negli anni a dar lezioni di astuzia, invidia e prepotenza. I vizi sono tanti che è proprio difficile eleggerne qualcuno a un più alto livello di gravità secondo le esigenze del gioco e sembra piuttosto che sia importante scampare alle insidie dei potenti, acquistando un saggio e prudente scetticismo se, trovandosi dalla parte dei deboli, non si vuoi finire nelle fauci del lupo, nella “casa” della morte. Il buon favolista greco in costume contemporaneo ostenta la sua deformità-portafortuna di nove posti in nove e insegna accanto alla morale quanto vari siano gli individui della specie animale che sembrano copiati pari pari dalle pagine illustrate dell’Histoire Naturelle di Buffon, la prima grande opera di “volgarizzazione” del pensiero scientifico, scritta a puntate tra il1749 e il 1789. Di botanica, zoologia, storia e geografia dovrà sapere anche il nostro giovinetto. Finite le fiabe e i giochi avventurosi, sa leggere e scrivere, è tempo dunque di proseguire il viaggio. “Il vascello scortato dal fanciullo corre sulla linea puntata; e l’urto con diversi scogli sono l’effetto della pigrizia ed incuranza nella direzione. La meta a cui tende” (se non l’avesse ancora capito) “sono i paesi delle Scienze e delle virtù, additatigli dall’Esperienza.” Superati i “monti di Neve e Giaccho”, vinta la leggerezza della prima infanzia, l’adolescenza si prospetta con ottimismo: Capo del Dolore, Paese del Rincrescimento, Stretto del Dispiacere, Capo del Pentimento, Isola della Penitenza... L’istruzione da questo momento in poi è delegata ai Collegi soprattutto religiosi dove la vita, scandita da rigidi orari di studio e di preghiera, giustifica credibilmente gli ostacoli indicati dalla nostra tavola-guida che una volenterosa mano di istitutrice o precettore ha disegnato in punta di penna negli ultimi anni del XVIII secolo.


La storia
Nelle Case di educazione, appellativo che evoca tetre visioni di piccoli reclusi, tutti gli espedienti sono buoni per suscitare il desiderio di apprendere; dai pubblici riconoscimenti di fine d’anno ai piccoli doni quotidiani: un frutto, un dolce, una sacra immaginetta. Anche il gioco fa parte della strategia educativa; “imparare divertendosi” è uno slogan ormai consolidato a partire dal XVIII secolo e le tavole stampate a questo scopo sono i primi “Bignamini” della cultura scolastica, tradizionalmente impartita di generazione in generazione sino a non molti anni fa. Come mandare a memoria senza spazientirsi o morir di noia la Storia sacra? Risponde al problema il mercante libraio Jaques Guerrier vendendo il “Jeu Historique sur l’Ancien Testament” ad uso degli alunni del Gran Collegio di Lione che ha sede proprio di fronte alla sua bottega. È l’anno 1743 (ci sembra di leggere), l’incisione è preziosa, gli angiolotti stanno al posto delle oche, le regole, messe in rima, risultano piacevoli e più facili da ricordare. Dice l’avvertenza che i giocatori non sono obbligati a recitare la storia di ogni cartiglio, ma gli altri, se vogliono partecipare, si studino l’opuscolo allegato (ahimè per noi introvabile), dove ogni episodio biblico, qui riassunto in tre parole, doveva essere, con tutta probabilità, ampiamente illustrato. “Il favore che ottenne in Francia, e l’uso profano che se ne fa tuttora” inducono un editore milanese a pubblicarlo in idioma nel 1813. Nessun preziosismo grafico, scomparse le rime forse troppo difficile mantenerle nella nostra lingua!), la tavola è più piccola e francamente poco accattivante, ma, si giustifica, ostentando uno spirito democratico un po’sospetto, il traduttore: “...siccome l’autore francese non accenna nel suo originale che un metodo assai costoso e difficile per valersene, giocando, così io ho ideato questa Tavola colle op portune Regole onde porgerlo a chicchessia in un formato comodo e di poco dispendio.” “Per chi vuoi essere tenuto colto e ben educato, è talmente necessario essere istrutto nell’istoria, che chi n’è mancante passa nelle familiari società come incapace di sostenere con decoro qual si sia discorso; ed infatti è sovente costretto a tacersi per non fare una triste figura.” (Nuova Enciclopedia de’ giovinetti, Milano, 1826). Infatti le tavole dedicate a questo soggetto, siano esse figurate come il Grand Jeu de l’Histoire de Rome... del 1810 o fitte di aride narrazioni, creazioni originali o versioni nostrane di già collaudate edizioni d’oltralpe, rispettano fedelmente l’esigenza sopra dichiarata: l’importante è saper citare nomi, date, aneddoti al momento giusto, per avvalorare con l’esempio dotto o confutare la materia delle conversazioni mondane, riducibile sempre e comunque all’eterno conflitto tra vizio e virtù. Nel “Giuoco nuovissimo per dilettevole istruzione della gioventù”, la storia romana dalla fondazione di Roma fino a Costantino è una serie di “medaglioni” dedicati a re, imperatori, cospiratori e tirannicidi, un florilegio di modelli umani i cui nomi rimarranno inevitabilmente legati a particolari perversioni, a eccezionali atti di clemenza o di eroismo, alle cifre di un anno, a una battaglia vittoriosa... Il giudizio morale, se non dovesse nascere spontaneamente dalla lettura dei “fatti”, viene ribadito nelle regole: “Ritorna al n.1 a cagione della fierezza di Tarquinio”, “Prendi un segno per la liberalità di Cesare”, “Morrai per la persecuzione di Decio”, ma “Prendi tre segni per la Pace Generale data all’Universo da Augusto...” Quanta consapevolezza critica fosse contenuta nella qualità e nel metodo di un simile apprendimento celo dimostra Rousseau in un divertente episodio. Egli racconta come una volta un ragazzetto ben istruito dal precettore facesse la sua bella figura ripetendo, a tavola, il noto episodio di Alessandro Magno il quale, pure informato che l’amico e medico Filippo avrebbe voluto avvelenarlo, bevve la medicina facendogli nel contempo leggere l’avvertimento. Solo più tardi il nostro scoprirà che per il saputello il coraggio di Alessandro era consistito nel bere tutto d’un fiato una pozione certo molto amara. Quel che più conta è esser sempre e comunque “scientifici” e dove non arriva il condensato storiografico dallo stile affermativo e dai curiosi accostamenti di pubblico e privato, secondo la migliore tradizione da Livio a Tacito, ci pensa la Cronologia. Disciplina questa da rispettare rigorosamente, tanto da ispirare un gioco antico riportato nell’Académie des jeux del XVII secolo del quale vi risparmiamo la repellente sequela di date, suddivisioni, avvenimenti... Mentre gli specialisti polemizzano tra loro per stabilire una volta per tutte quando sia nato il Mondo (e qualcuno sostiene 3616 anni prima di Cristo, altri 6984), il giovane studente cominci il gioco recitando senza esitazioni: "L'anno del mondo 3250,754 avanti Gesù Cristo, il 3 anno dalla 6 Olimpiade, 430 anni dopo la presa di Troia, mentre regnava in Giudea lotam, Romolo..." Chi più ne ha più ne metta.

La geografia
Anche la geografia, sebbene compendiata in prosa o in poesia, ridotta a un fuoco di fila di domande-risposte, organizzata sotto forma di carte da gioco o di circuito dell’Oca, non doveva apparire meno arida agli occhi dei ragazzi... Domanda: “Che cosa è Geografia?” Risposta: “È una scienza che insegna il nome e la situazione dei vari paesi della terra.” Così definita sui manuali in uso nelle scuole, come quello del celebre gesuita Buffier, tradotto in italiano nel 1757, lascia ben poco di che sbizzarrirsi anche alla fantasia degli ideatori di giochi didattici. Si chiamino “Le jeu du Monde” o “Jeu du Mappe-Monde”, risalgano agli ultimi anni del XVII e del XVIII secolo o ai primi del XIX come la Prima tavola del giuoco geografico o viaggio di tutto il globo, le informazioni sono sempre della medesima qualità: il mondo si divide in quattro parti... le città più importanti sono... tutt’al più si fa qualche accenno alle risorse economiche, ma solo se si tratta di oro, diamanti, commercio di porcellane, avorio e seta. Quanto sia noioso il contenuto deve essere ben chiaro se, per movimentare il percorso si ricorre a una lunghissima serie di regole che in pratica consiste nel porre in ogni “casa” un premio da ritirare o un pegno da pagare. Sugli usi e costumi è detto poco e san notizie che forse voglion essere “curiose” ma fan sorridere più noi dei contemporanei giocatori. Così “in Gran Bretagna le donne son belle”, “gli abitanti d’Egitto han costumi licenziosi”, “in Moscovia gli uomini dimostrano il proprio amore alle donne picchiandole”, “Affrica la più calda”, “Europa la più colta”, “l’Acqua ha i nomi di Oceano, Mare, Stretto, Golfo e Arcipelago”... E per finire un tocco di politica messo lì innocentemente a siglare la garanzia rappresentata dal regime napoleonico nei confronti degli appena trascorsi disordini rivoluzionari: “la Protezione della Religione e delle Sostanze forma la vera base, e gloria dei Governi.” C’è poi un ingegnosissimo pastore arcade, tal Ernesto Eleucantéo, che dedica alla santità di Benedetto XIV, papa nel 1740, una serie di fogli intitolati Trattenimenti eruditi sopra la Geografia e Sfera, inventati in grazia della Nobile Gioventù. Si posson ritagliare per giocare a carte francesi o ai tarocchi, ripiegare e mettere in “Pallette” da estrarre nel Biribissi, incollare alla tela... “tenendoli esposti nelle Scuole, nelle Case (sic) ne’ Sacri Chiostri a modo di Quadri” o percorrerli come l’Oca. Chi li userà “...avrà il vantaggio d’imparare senz’accorgersene e senz’affaticarsi o nelle Scuole e su’ libri; e così avverrà a risarcire la perdita, se perderà denaro; o fare doppio guadagno, se denaro guadagnerà.” Non solo, per aiutare la memoria si serve della rima e della formula “domanda-risposta”. Bravo! Se non fosse che, increduli, leggiamo:

Domanda: “Su questi Poli il Ciel ogni dì volgesi?”
Risposta: “Il Cielo certamente è quel, che movesi;
Né si move la Terra, come spacciano
Color, che troppo in su salir presumono;
E seguendo il Sistema di Copernico,
A lui piuttosto pregiansi di credere,
E all’apparenza incerta, ed ingannevole,
Ch’a’ Libri Sacri, certi, ed infallibili;
Sempre ferma la Terra, e immota stassene,
Ferma, e stabil formolla il sommo Artefice,
Terra in eterno resterassi immobile.”

È l'anno del Signore 1750, il processo a Galileo si era concluso nel 1633. Anche un gioco può insegnarci quanto lento sia in realtà il cammino della conoscenza.

Le bambine
Buona volontà, sforzi e coraggio conducono al successo, e il ragazzo, ormai giunto alle soglie della giovinezza, la testa imbottita di nozioni e regole da rispettare, erudito nell’arte del conversare, ma anche addestrato all’esercizio fisico, è pronto al rientro nel mondo secolare. Abbandoniamolo per un attimo e occupiamoci dell’ “altra metà del cielo”. Troppo ovvio ricordare che ben altro tirocinio era riservato alle fanciulle. “La scienza delle donne, come quella degli uomini, deve limitarsi all’istruzione relativa alle rispettive funzioni; la differenza dei loro compiti deve fondare quella dei loro studi”, affermava Fénelon e il principio resta valido per secoli. La loro educazione deve dunque consistere nel saper leggere e scrivere, nella conoscenza dell’aritmetica elementare, della lingua nazionale e di una straniera, delle principali regole della giustizia e nella lettura di libri profani, ma soprattutto nella pratica di ben condurre una casa perché “una povera figliola, con la testa piena della tenerezza e delle meraviglie che l’hanno incantata nelle sue letture... vorrebbe vivere come quelle principesse leggiadre che si trovano nei romanzi... Quale disgusto, per lei discendere dall’eroismo fino al più umile aspetto particolare delle faccende domestiche!” La deliziosa tavola pubblicata da Edoardo Sonzogno Editore quale dono annuale per i lettori del 1876 ha per protagonista proprio una bimba. Le regole che governano il gioco sono andate perdute, ma non è difficile ricostruirle. Trascorre tra studio, svago e marachelle la giornata in seno alla famiglia...”Questo sì, questo no,” dicono le caselle e, come si vede, la lezione di comportamento è semplice quanto intramontabile... Esser paziente con il fratellino, non tirar la coda al gatto, non esser vanitosa e pregare, far l’elemosina e studiare, aiutar nelle faccende domestiche e chiedere perdono. Immenso il dolore della mamma se per rubar la marmellata si fanno danni, ma il suo cuore è grande e generoso: al centro, premia la piccina con un libro... Sonzogno, questo è ovvio. Non tutte sono così fortunate come la bimba del nostro gioco e qualcuno, impietosito dalla sorte di coloro che vivono in collegio, ne esprime, in poesia, lo struggente dolore:

Perché chiudermi ancora in quelle mura
Che son laggiù, tanto lontan da te?
Quelle mura, mi fan, mamma, paura,
Laggiù nessun, nessun dei miei non v’è.
Quelle suore son fior di cortesia,
Ma indovinarmi il cor nessuno sa;
La lor parola suona umile e pia,
Ma la nota materna ella non ha.
Bello ruzzar sul vespro nel giardino
E ogni tratto venirti ad abbracciar,
Bello legger la sera a te vicino,
Con te le care pagine studiar...

Peccati veniali
La sera è l’ora della nostalgia e le “buone suore” per distrarre le allieve propongono un passatempo davvero singolare, almeno per noi; riunite intorno al tavolo del refettorio, si scatena un vivace Chemin (...) de la Croix! Sottotitolo del gioco è “ricreazione spirituale” perché in questo modo “la gioventù apprenderà quello che nostro Signore Gesù Cristo ha sofferto per riscattare i nostri peccati”. Il documento è del 1830 ma ha antichissimi precedenti. Un “Jeu du point au point” per evitare vizi e praticare virtù, dedicato a M.me de Rouville, abbadessa di Saint-Julien nel 1640, e la “Récreation Spiritelle” per le religiose Orsoline dove gli accidenti ricordano l’insidia del Maligno con tentazioni, errori, peccati, tutti veniali e di una toccante ingenuità. Qui il soggetto è improntato a un più deciso misticismo, trattato con accenti drammatici. Ricorda le processioni, le solennità cultuali, le immagini pietà distribuite ai fedeli in cambio di una piccola offerta durante le funzioni o ai comunicandi dei corsi di dottrina. Ricchissimo di allusioni simboliche: attributi di Gesù, della Chiesa, della Madonna, cuori infiammati dalla fede, trafitti dal dolore, grondanti sangue di redenzione. Il giocatore, fermandosi alle stazioni della Via Crucis, sarà spinto avanti con raddoppiato vigore spirituale. Scomparso ogni riferimento ad accidenti mondani, i pericoli restano al posto classico, ma purgati e “ingentiliti” dove occorre: san Pietro sostituisce l’osteria, il pozzo ha l’ancora della misericordia, la prigione è una gabbietta di uccellini. Non si dimentichi che siamo negli anni del rinascente fervore religioso: la Chiesa, durante la rivoluzione, promuove vere e proprie “missioni” cittadine dove i predicatori trascinano le folle e nelle parrocchie santi curati compiono miracoli. Il sacerdozio si rinnova e diventa “militante”, si cercano vocazioni, si ripristinano le solennità pubbliche. Nelle scuole di catechismo si cantano temi sacri sull’aria di canzoni popolari e san Giuseppe è celebrato con la melodia de “L'ufficial che vien dalla gavetta”. È uno spirito religioso che ritorna al popolo, additandogli i santi più cari alla tradizione locale, vicini alle sofferenze dei poveri, i protettori dei mestieri più umili come Giuseppe e Caterina della Ruota, benemerita delle “Caterinette”, san Luigi e Vincenzo de Paoli, tutto dedito al soccorso degli infermi, santa Filomena, esempio di purezza martirizzata, l’umile Antonio e la travolgente Teresa d’Avila. Devozione che dà i suoi frutti se in questo scorcio di secolo la Vergine appare a semplici donne di campagna, ai pastorelli dei Pirenei e creerà santi “moderni” dai nomi famosi: Caterina Labouret, Bernadette Soubirou...

Schermaglie d’amore...
È naturale che il matrimonio sia riguardato come una tentazione peccaminosa da coloro che volenti o nolenti si sono votate allo Sposo Divino; per tutte le altre potrebbe tranquillamente sostituire il tradizionale giardino dell’Oca nel percorso della propria esistenza, almeno sino a quando un anonimo Collettivo degli anni settanta coniò il celebre motto “Una donna senza un uomo è come un pesce senza bicicletta”. Le circostanze di tanto radicato determinismo sono presto dette ancora una volta con le parole di Rousseau: “Eccoci pervenuti all’ultimo atto della giovinezza, ma non siamo ancora allo scioglimento. Non è bene che l’uomo sia solo, Emilio è uomo; gli abbiamo promesso una compagna, bisogna dargliela...” (Emile, V, 1) E nessuna occasione è migliore del gioco per promuovere l’incontro tra i due sessi, per mettere in pratica, attraverso la “copertura” della finzione ludica, quei comportamenti galanti e seduttivi che alludono a intimità ben più conturbanti. A render eccitanti gare di memoria e indovinelli, sciarade e nascondino, mosca cieca e labirinti figurati suggeriti nelle numerose raccolte e versioni di “passatempi onesti per la gioventù” è il sempre vecchio espediente della “penitenza”: dire, fare, baciare... e le innocenti gote si tingono dei primi ingenui rossori. "Les Etrennes de la jeunesse", “il piccolo gioco d’amore” del XVIII secolo, è un bel saggio di corteggiamento secondo le regole sociali del tempo: giovani e giovinette, rivestiti gli arcadici panni di pastori e pastorelle, si rincorrono metaforicamente lungo gli anelli fioriti di un percorso che ricorda i giardini all’italiana, delizia delle gaie brigate cortesi. I pericoli legati al comportamento amoroso sono appena accennati: si sa, l’uomo è incostante, infedele e indiscreto mentre la donna è incline alla gelosia e all’ingratitudine, ma il perdono/ da entrambe le parti, risolve magicamente ogni contrasto/ così i due... vivranno felici e contenti. Nell’attesa che il gioco diventi realtà si pagano tributi di omaggio e dedizione, di piccole civetterie le cui movenze sono patrimonio di un galateo cortigiano d’antichissima tradizione: i cavalieri baciano la mano alla loro bella o ne diventano simbolicamente schiavi lasciandosi cingere da una giarrettiera così le donne fan la riverenza o siedono sulle ginocchia dei fortunati. Ogni scusa è buona per sfiorarsi, per far sorridere per creare un’atmosfera diremmo noi “disinibita” e questo spiega la presenza di “accidenti” apparentemente assurdi. Una spazzola, una bottiglia, una stampella consentiranno, galeotti, di pettinare chiome femminili, saltare su un piede solo per il divertimento di tutti e versar da bere alla compagnia. Nessun riferimento a tristezze, a riflessioni sui doveri della vita matrimoniale, non c’è pericolo tanto grave da richiamare la fine dell’illusione ovvero non si ricomincia mai da capo. Se di gara si tratta è per vincere la concorrenza all’interno del proprio sesso: chi arriva prima attende, ferme le altre, che un compagno altrettanto favorito dalla sorte la raggiunga (o viceversa) nella casa dei due cuori, inequivocabilmente coronati da una fede nuziale. All’amore e al matrimonio sono dedicati altri giochi in voga nel XVII e XVIII secolo. "Le jeu royal de Cupidon" (altrimenti detto Il passatempo d’Amore) è ricostruibile dalla descrizione precisa e commentata che ce ne dà l’Académie des jeux. Bisogna notare che questo gioco è rappresentato in forma di Serpente dato che Amore in tal guisa si insinua nel cuore di colui che lo possiede, e lo intossica con il suo veleno, e per molte altre belle considerazioni che il poco spazio di questo foglio non permette di spiegare... Lo spunto, come si nota, è meno gaio e ottimista del precedente: Cupido vi fa la parte dell’Oca ma trafiggendo con frecce e dardi il malcapitato concorrente che, per il resto del percorso, si deve accontentare di pericoli e pegni pressoché tradizionali. Ancor più povero di emozioni il "Jeu de l’Hymen", le cui case elencano come una litania (secondo le consuete esigenze di sistemazione degli enciclopedisti) vizi e virtù della vita di coppia dove la Speranza sembra essere l’unica “chance” fortunata in tanta monotonia, se è vero che Ragione è uguale a Consapevolezza.

....e la gabbia dorata
L’educazione sentimentale conclude l’addestramento dei giovani alla vita, almeno quello ufficiale, poiché, contemporaneamente alle tavole romantiche o moraleggianti di cui sopra, circolavano libretti istruttivi di ben diverso contenuto. Ne abbiamo trovato uno del 1780, stampato a Venezia, l’Almanacco sentimentale ad uso dei maritati e non maritati, con una carta topografica per dirigersi nei loro viaggi che fa da pendant parodistico al Viaggio della Gioventù e da cui estraiamo, a titolo esemplificativo, la Favolletta della Gabbia del Fringuello:

...ma non vede il meschinello
Che illegarsi è una Pazzia
Qual la gabbia che l'uccello
Non ben sa qual cosa sia,
E la pena non vi prova
Chi pria dentro non si trova.
O voi dunque la lezione
Apprendete, a cui nel Core
Forma ognor viva tenzone
Forsennato, e cieco amore,
Se volete esser graditi
Siate Amanti, e non Mariti.

La facciata onesta è comunque garantita, almeno in famiglia, dove il Nuovo Giuoco della Vita umana (1830) parla il linguaggio della tranquilla borghesia, fatto di sani valori e buoni sentimenti, senza scandalizzarci (sebben che siamo donne...) se la dote è un investimento e l’amar senile un attentato al patrimonio. Il percorso allegorico del vascello si traduce qui in proverbi figurati, in massime di saggezza che non richiedono commenti e riassumono tutto quel che di sapienza e morale abbiamo fino ad ora raccolto dalle nostre tavole. Sfidando la legge inaffidabile dei dadi, la cecità della Fortuna, gli accidenti del Destino, l’immagine centrale è una lezione di fiducia nella giustizia divina che calvinisticamente conclude:

L’uomo onesto che affatica
trova alfin la sorte amica.
 

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