Giochi dell'Oca e di percorso
(by Luigi Ciompi & Adrian Seville)
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"A piedi, in nave, sul pallone, alla scoperta di terre lontane. Un viaggio da non perdere!"
Autore: Mascheroni&Tinti 
Un viaggio da non perdere!
Un lungo articolo apparve il 7 ottobre 1872 nel Bollettino della Società Reale di Geografia: trattava l’argomento da tutti i punti di vista e dimostrava luminosamente la follia dell’impresa. Secondo questo articolo, tutto era avverso al viaggiatore: e gli ostacoli frapposti dall’uomo e gli ostacoli frapposti dalla natura... A rigor di termini, in Europa, dove la lunghezza dei percorsi è relativamente modesta, si può contare sull’arrivo dei treni all’ora regolamentare; ma dal momento che bisognava impiegare tre giorni per attraversare l’India e sette giorni per attraversare gli Stati Uniti, come era possibile fondare sull’assoluta puntualità dei treni gli elementi d’un simile problema? E i guasti alla locomotiva, i deragliamenti, gli scontri, la cattiva stagione, l’accumularsi delle nevi: come negare che tutto fosse avverso a Phileas Fogg? E sui piroscafi durante l’inverno, non si sarebbe forse trovato alla mercé delle tempeste di vento e delle nebbie? È proprio tanto raro che i piroscafi più veloci delle linee transoceaniche accusino ritardi di due o tre giorni?..” Ma il viaggio forse più incredibile e avventuroso della letteratura fantastica moderna doveva concludersi con successo, un successo così straordinario da superare i limiti del racconto, sconvolgere le previsioni di vendita e influenzare per lunghissimo tempo i modelli del sapere geografico-etnologico-antropologico a diffusione popolare. “Il Giro del Mondo in 80 giorni” raccoglie, organizzandoli attraverso il filtro della fantasia, i fermenti culturali di un’epoca le cui caratteristiche di sviluppo tecnologico e di rivoluzione nel campo dei trasporti sono così ben riassunte nel brano sopracitato. L’Europa della seconda metà dell’Ottocento “scopre” paesi finora scarsamente rilevanti nella geografia politica mondiale, come fornitori di materie prime per l’industria e di derrate alimentari. L’approvvigionamento dall’esterno è reso più economico della produzione in Patria proprio grazie alle moltiplicate possibilità di trasporto. L’Inghilterra cerca di affrancarsi, proprio in questi anni, dagli Stati Uniti per l’importazione del cotone, trasformando India ed Egitto in sorgenti sostitutive e dall’Australia ricaverà d’ora in poi la maggior quantità di lana. Alla seta italiana incomincia a far concorrenza quella della Cina e del Giappone, infine gli Stati Uniti, specialmente dopo la colonizzazione del West, esportano grano e carne congelata in Europa. L’opinione pubblica, consapevole o meno degli scopi economici del fenomeno, partecipa a questo movimento di scoperta diffuso sulle pagine della riviste specializzate dai titoli significativi come Le Tour du Monde, Il Giornale Illustrato dei Viaggi e delle Avventure di Terra e di Mare o delle numerose dispense di divulgazione scientifica ad uso delle famiglie. E tutti subiscono il fascino di ciò che viene loro presentato di strano, curioso, mirabile ed esotico, in una forma che agisce sull’animo, sulla mente e sull’immaginazione del lettore. Il gioco non può sottrarsi alla medesima sorte, tanto più che, per struttura e richiamo simbolico, così ben si adatta a far ripercorrere le tappe di un viaggio irto di difficoltà e di sorprese. Fresco di successo per la recente pubblicazione del romanzo, il “Jeu du Tour du Monde” esce nel 1873 e ne riproduce gli episodi più salienti: dalla scommessa di Fogg con i membri del Reform Club, al suo rientro vittorioso nella vecchia Europa, dopo aver toccato Africa, Asia, America. Ebbene, circa vent’anni dopo, nella tavola Il Giro del Mondo, stampata a Milano “seguendo l’itinerario della Società dei Viaggi di Studio intorno al mondo residente a Parigi”, viene riproposto un percorso di gioco che, se nelle intenzioni dichiarate non ha alcun riferimento con l’opera letteraria, nei contenuti visivi, nel modo di trattare l’argomento oltre che nel numero di tappe e nel titolo, mantiene curiosi riferimenti con il primo modello di verniana ispirazione. Quando poi, nel 1936, la Scuola Apostolica Carmelo di Monza propaganda l’opera di evangelizzazione nei paesi africani attraverso Il giuoco del Missionario, l’iconografia del tema è ormai talmente consolidata da adattarsi perfettamente a qualsiasi territorio esplorato dal giocatore ed è persino più tenace dell’ideologia politica da impero coloniale che ci aspetteremmo di trovare in un prodotto di divulgazione del Ventennio.

Jeu du Tour du Monde
“Se al primo colpo di dadi si farà 9 che si può fare in due maniere, allora con 6 e 3 si andrà al 26, dove c’è una locomotiva, altrimenti con 5 e 4 bisognerà andare al 53 dove si trova il vapore Henriette...” Ecco i veri protagonisti del gioco insieme all’impassibile gentleman: è merito loro se il viaggio a tavolino subisce prodigiose accelerazioni accanto all’immagine di Fogg, che fa raddoppiare il punteggio. Più volte ripetuti nelle caselle vediamo il vascello, alla rada nei porti famosi di Brindisi, Aden, New York, in navigazione attraverso gli oceani o in preda alla tempesta e la locomotiva, che attraversa i tunnel, assalita dagli indiani, posta a emblematico confronto con le selvagge tigri del Bengala. Le due “macchine” riempiono, è vero, i tempi “morti” del trasferimento (come le interminabili cavalcate di cow-boys nei film western di serie B), ma d’altro canto esaltano la civiltà e il progresso che, inarrestabile, sta conquistando il mondo. E proprio di questo nuovo mondo che si sta scoprendo, il gioco mostra i paesaggi vaghi e un po’ fantastici delle moschee e delle pagode, tutti così simili tra loro, la fauna esotica mansueta e feroce dei cammelli, degli elefanti e delle tigri, infine i costumi religiosi dei fanatici musulmani, i “barbari” riti dell’India misteriosa, il folclore dei danzatori siamesi, i bizzarri ornamenti dei sioux. Anche per chi non ha letto il libro e non sa del salvataggio dal rogo della bella Audà, della tenacia del poliziotto Fix, dei brutti incontri del fedele Passepartout, c’è dunque di che sognare, di che immergersi con la fantasia nelle giungle d’Asia, nelle savane d’Africa, nelle foreste americane in compagnia di Montezuma, riprodotte negli angoli della tavola. In queste immagini tutto coesiste al di là di ogni logica realistica e perfino l’Europa si trasforma in un sereno paesaggio bucolico... forse un richiamo alla pace e alla sicurezza di casa propria.

Il Giro del Mondo
Casco coloniale, binocolo, valigetta con il quaderno d’appunti, una bussola e pochi strumenti di misurazione topografica, la sua “arma” è un bastone, la sua fede è la scienza, il suo compagno la solitudine: questo l'esploratore-tipo in partenza alla prima casella. Ma cosa avrà mai da scoprire, negli ultimi anni del secolo, percorrendo le rotte che navi mercantili e passeggeri, con il loro carico di emigranti e turisti d’élite, avevano ormai reso sicure, consuete, frequentate? D’accordo, l’Africa è ancora il continente sconosciuto, preda contesa tra gli stati colonialisti europei, meta di spedizioni scientifiche che si concludono spesso tragicamente per mano degli indigeni o per febbri malariche, ma il “resto del mondo” fa parte della geografia ufficiale che si impara a scuola, già condensata in aride descrizioni, noiose nomenclature, misteriose cifre da mandare a memoria. Allora l’autore del gioco, che dichiara esplicitamente di voler “rendere dilettevole la scienza, imprimere ad un passatempo di società la nobile missione di arricchire la mente di cognizioni utili e varie...”, ricorre all’antico espediente di speculare sull’immagine esotica per catturare l’interesse, quanto poi alle informazioni “serie” da trasmettere ci pensa il testo breve e didascalico, stampato sul retro della tavola. Grandi maestre di metodologia, le figurine Liebig! Non resta che imitarne l’iconografia, comporla in percorso, inserire il brivido dell'incontro con bestie feroci e la soddisfazione di averla scampata bella raddoppiando i punti. I pericoli, poi, sono un misto di convenzione, ideologia vagamente razzista, eredità letteraria delle truculente descrizioni dei primi “avventurosi”, echi di tragici avvenimenti che travagliavano i territori d’oltremare. Se il gambero, banalmente, fa arretrare il giocatore, l’equazione Pelli Rosse=Morte ha ben altro spessore valoristico. Così il racconto di Verne: “Contemporaneamente, i siù avevano invaso le carrozze: correvano come scimmie infuriate sui tetti, sfondavano le porte e lottavano corpo a corpo coi viaggiatori... Grida e detonazioni si susseguivano ininterrottamente.” Più esplicito il giudizio morale nell’articolo Da Washington a S. Francisco (1868): “Essi (gli indiani) vanno sparendo perché l’uomo che non lavora soccombe dinanzi a chi lavora... Laddove la civiltà avanza la barbarie non può sussistere.” E ancora: “L'indiano stava appostato in una piega del terreno: egli sorprese e uccise le facce pallide! Oggi ancora quanti allarmi quotidiani e come bisogna avere gli occhi aperti!” E per concludere, nel 1876 il governo americano aveva violato l’accordo di Fort Laramie “invitando” gli indiani a spostarsi dal territorio loro assegnato: apaches, navahos, cheyenne, arapaho e sioux dissotterrano l'ascia di guerra e il reciproco massacro, iniziato a Little Big Horn, finirà definitivamente solo nel 1890. Non da meno i siamesi che, non solo sono “astuti, crudeli, superstiziosi”, ma anche sospettosi (ti fanno restare “in prigione” per un giro) ed è naturale che lo siano se Lavater e Lombroso valgono qualcosa. Così infatti li descriveva fisicamente il naturista Enrico Mouhot sulle pagine della rivista Il Giro del Mondo: “Quasi tutti hanno il naso piuttosto rincagnato, gli zigomi sporgenti, l’occhio fosco senz’anima, le narici allargate, la bocca troppo larga, le labbra sanguinose per l’abuso di betel...” Per contrasto belli, buoni, efficienti, puliti, ricchi, sono gli inglesi visti nello specchio delle loro colonie. Ricordiamo, a proposito di questo anglofilo entusiasmo, non del tutto disinteressato, l’occupazione italiana di Massaua nel 1885: la Francia aveva preso Tunisi e l’Inghilterra, preoccupata che mettesse le mani sulle zone ancora disponibili del Mar Rosso, aveva chiesto all’Italia di prevenirla, finanziando l’impresa. Sarà che noi siamo sospettose per natura... come i siamesi...!

Il Giuoco del Missionario
“Quarant’anni dopo...Nel mondo è successo di tutto, dalla guerra alla Grande crisi. L’Italia ha il suo Duce e le sue colonie, si viaggia in automobile e in aereoplano, ma nel gioco nulla sembra cambiato. Andiamo a “leggere”. Il Missionario va a piedi, si fa benedire da Pio XI, si ferma a pregare e via...trasportato dalla colomba (edificante metamorfosi dell’Oca) sulle coste d’Africa e poi più dentro lungo il Nilo. Scavalcando i Monti degli Arussi, proprio uguali alla Punta del Galles, arriva in Tanganica dove trova- oh meraviglia!- le medesime capanne in uso a Sidney. Catturato dai Cannibali che l’amore cristiano rende meno crudeli dei sioux, è costretto a fermarsi, ma finisce col salvarsi. Appuntamento col serpente al 45, ma la perfida bestia (rimasta nella stessa casella per tanti anni ad aspettarlo...) ammansita come gli altri animali feroci dallo spirito francescano, accellera inaspettatamente il suo cammino. Nel Camerum come a S.Francisco ci sono i cercatori d’oro e il ponte che attraversa in Nigeria è lo stesso dell’ardita ferrovia nella Sierra Nevada. Altre analogie se le cerchi il lettore e si diverta...Le soste obbligate del giocatore sono per lo più legate a momenti di edificazione dell’anima, di riflessione spirituale, di ristoro del corpo affaticato dal lungo andare e se per tre giri, corrispondenti a tre lustri, dovrà restare alla Missione, lo farà con gioia: questo è il suo scopo. Se infine dovrà morire e ritirarsi, lo farà per mano dei maori ferocissimi predoni di razza polinesiana che, in virtù di un miracoloso svarione linguistico, sono trasportati dalla Nuova Zelanda nel deserto mauretano...
 

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