Giochi dell'Oca e di percorso
(by Luigi Ciompi & Adrian Seville) |
"Percorsi di propaganda" |
Autore: Milanesi Franco |
PERCORSI DI PROPAGANDA Giochi dell’oca e politica nelle tavole italiane del XX secolo Esiste negli uomini una naturale disposizione al gioco e l’intera vicenda dell’homo sapiens si è strettamente intrecciata con le idee, le invenzioni, la storia dell’homo ludens. Se le molteplici funzioni del gioco sono evidenti nei bambini, che attraverso la presenza di regole codificate, la dimensione competitiva, l’accettazione della frustrazione della sconfitta o l’esperienza esaltante della vittoria apprendono modi e possibilità di rapporto con gli altri, gli uomini non smettono in realtà mai di giocare, e nella vita adulta l’attività ludica viene ricercata non solo come possibilità di svago, come un luogo “franco” e rilassante, dove in un clima di “distrazione” si ricaricano energie, ma anche come attività dove “mettiamo in gioco” noi stessi, le nostre abilità, l’intelligenza, la spinta agonistica, la creatività, all’interno di una precisa cornice di regole che delimita il confine per accedere nello spazio e nel tempo del gioco. Questi aspetti sono comuni ad una partita di calcio come agli scacchi, ai soldatini come ai diversi giochi di società. Nella cultura materiale umana si è quindi accumulato uno straordinario repertorio di oggetti per il gioco che gli storici considerano ormai come documento di primario interesse per la ricostruzione di mentalità, vita e costumi. Tra gli infiniti giochi inventati dall’uomo, quello dell’oca ha sicuramente un posto di rilievo, sia per la sua relativa “antichità” sia per la varietà di forme che esso ha assunto. I giochi di tracciato a caselle hanno origini remote, ma i primi tavolieri con percorsi a spirale suddivisi e numerati risalgono al XVII secolo, e la loro rapida e ampia diffusione in tutti i paesi europei fu certo favorita sia dalla semplicità delle regole e dalle possibilità quasi infinite di varianti di disegno, sia dalla funzione simbolica del percorso stesso, chiara metafora della vita, del suo divenire, delle sue fasi, dei suoi passaggi, cadenzati simbolicamente dalle caselle, dei pericoli, dei tranelli, delle mete intermedie o finali. Fino alla seconda guerra mondiale in Italia, si producevano ogni anno decine di diverse tavole con tracciati da percorrere. Nei giochi più costosi ed anche graficamente più raffinati erano spesso allegati nelle scatole dadi e pedine. Ma nella maggior parte dei casi si trattava di fogli singoli, acquistabili nelle edicole o nelle cartolerie a poco prezzo. Mentre in Francia, a partire dalla fine del secolo il dominio delle stampe di Epinal fu quasi assoluto, in Italia a fianco delle case produttrici più conosciute, specializzate in giochi su carta, come la celebre “Marca stella”, troviamo tavole provenienti dalle più svariate ditte (case editrici, aziende di prodotti alimentari, piccole tipografie). Tutte le tavole riproducevano comunque il gioco classico dell’oca, trasfigurandone in vario modo i passaggi tradizionali. Troviamo quindi 63 o 90 caselle, ostacoli al n. 58 (da sempre occupato dalla morte), ponti o passaggi al 6, case e casette al 52, ma su questo canovaccio si inseriscono soggetti e disegni del tutto liberi, dal tour in bicicletta, alla riproduzione delle corse dei cavalli, dalla passeggiata per il giardino zoologico, alle innumerevoli tavole con il giro del mondo. Insomma, tutti gli aspetti della vita reale o fantastica dei fanciulli, erano utilizzati dai disegnatori. Era quindi inevitabile che questi giochi venissero ben presto sfruttati, in una società ancora pre-mediatica, con intenti educativi, pedagogici, pubblicitari o propagandistici. Nella società ottocentesca i nuovi, egemoni valori della borghesia, quali decoro, educazione, sobrietà, religiosità vengono frequentemente rappresentati in percorsi con edificanti scenette familiari in stile “Biedermeier” o disseminati di “vizi” e “virtù” dove il rimando metaforico al percorso esistenziale dell’uomo viene pienamente esplicitato. Ogni nazione produce poi il suo gioco con il missionario, vero condensato di virtù e spirito di iniziativa, impegnato in pericolose avventure africane per la cristianizzazione degli “indigeni”. Numerose poi, soprattutto in Francia, le stampe storiche e a soggetto militare, dove la successione e la scelta degli eventi delinea un preciso intento di definizione di una memoria storica nazionale. Ecco dunque le numerose tavole su Napoleone, che troviamo, copiate e volgarizzate anche in Italia, dove la vita del grand-homme -siamo in piena Restaurazione!- viene ridotta in edulcorata parabola (insomma, la polvere e l’altar) o quelle celebranti momenti significativi della storia patria come battaglie, trattati, conquiste. Ovviamente troviamo anche molti disegni “neutri”, con pacifiche ochette e tranquilli passaggi su ponti e attraverso giardini. Ma i giochi con evidenti finalità propagandistiche si moltiplicano rapidamente abbandonando fin dall’inizio del nostro secolo i toni ancora smorzati del generico moralismo ottocentesco per farsi strumento, alle volte anche aggressivo, di propaganda politica, ideologica, militare. Conclusosi il lungo periodo di pace dopo la guerra del 1870, l’Europa si avvicina alla catastrofe. Il pomposo ma elegante patriottismo di una bella tavola francese che celebra l’ alleanza tra Francia e Russia del 1894 o di un foglio del periodo giolittiano in ricordo delle “glorie italiane”, lascia il posto all’esaltazione dei fasti militari, alla glorificazione dello spirito bellicista e imperialista. In una tavola italiana del 1916 l’oca diventa “a due teste”, come l’aquila dell’odiata Austria. Ma la prima guerra mondiale è solo il preludio di quella “società di massa” che dopo il ’18 diventerà il tratto dominante di tutti i paesi occidentali. Ed è in questo inedito rapporto tra base sociale e politica che la propaganda diviene uno strumento essenziale delle tecniche di consenso. Certo gli strumenti, se confrontati con quelli attuali, appaiono abbastanza ingenui, ma si sfrutta ogni possibilità per raggiungere, con un calibrato “messaggio”, l’immaginario popolare. E il gioco dell’oca offre per la diffusione, la semplicità, le potenzialità figurative che lo caratterizzano, possibilità assai ampie. Il fascismo le sfrutterà a fondo. Numerose le tavole che vedono come protagonista un giovane ed eroico Balilla, impegnato in mirabolanti avventure. Ecco così una riproposizione del giro del mondo dove il piccolo “Italin” dopo un passaggio a Fiume “con D’Annunzio che contrario fu al rinunzio” viaggia in Asia, accolto festosamente, e quindi “tornò i patria, gridò in Roma: / Oh Italia, ognun ti noma!”. Il viaggio si conclude, dopo l’immancabile rievocazione dell’impresa di Nobile, in un tripudio di bandiere sotto l’altare della patria. Oppure, in una curiosa tavola, di sapore involontariamente surreale, il solito balilla è protagonista di una lunga “corsa sull’autostrada”. L’ostacolo più difficile, da evitare assolutamente, è alla casella 30, dove è in corso la conferenza sul disarmo. Ad esso è legata una grave penalità, che lo rimanda al n.9. In questo gioco, come in quasi tutti quelli pubblicati nel ventennio, le imprese del protagonista sono associate alla pubblicità di prodotti commerciali. Nel 1928 viene stampato un bel gioco programmaticamente intitolato “Tutte le strade conducono a Roma”, un incrocio tra il “Risiko” e il tradizionale gioco di percorso. I concorrenti devono, secondo le spiegazioni a lato, raggiungere, tirando i dadi, la città eterna. Curiosa è l’associazione tra “sponsor”, nel caso le ditte Talmone e Venchi di Torino, e iconografia di regime, che dà origine ad una cornicetta dove si alternano caramelle, biscotti, i classici vecchietti che bevono cioccolato con fasci del littorio. E anche la guerra coloniale non sembra sfuggire alle regole pubblicitarie se, in un’altra tavola, l’entrata di Badoglio in Addis Abeba è preceduta da un lungo percorso dove si alternano scene di battaglia e inviti all’acquisto dei “supercalzini” della Santagostino. Si ricorda però che “chi arriva al numero 56 deve, prima che il giuocatore successivo getti i dadi, gridare SAVOIA, se si dimentica retrocede al numero 43”. E’ invece il Tonergil “Erba”, un ricostituente, a sostenere gli sforzi dei giocatori lungo un serpentone tricolore che si snoda da Asmara ad Addis Abeba. Nell’immediato dopoguerra il numero di tavolieri con percorso che vengono ancora utilizzati per qualche anno per veicolare messaggi ideologici, confermando la diffusione e anche la presunta “efficacia” di questo tipo di gioco, diminuisce rapidamente. Nel 1948, anno di elezioni politiche segnate dalla contrapposizione frontale tra gli schieramenti e dal clima di guerra fredda, la propaganda, soprattutto quella delle forze che si oppongono al blocco tra socialisti e comunisti, assume toni aspri, grossolani, spesso violenti, documentati sui notissimi cartelloni del periodo. Per chi ancora non può accedere alle urne, vi sono comunque svaghi “educativi” come “Il giuoco dell’oca del vero italiano”, stampato nello stesso anno. La casella che fa da leit motiv rappresenta la statua della libertà. Mazzini e Cavour si alternano a Marshall e a bandierine Usa tra i campi di grano. I pericoli (disordini, dittatura, guerra, sabotaggio) sono sempre collocati su un inequivocabile sfondo rosso. Compare anche un curioso Stalin travestito da luna. Mai in un gioco si era inoltre visto un “abbuono” così consistente, a sottolineare l’importanza dell’evento: “chi tirando ottiene il n. 12 (aiuti americani) va immediatamente al n. 89 (fabbriche in attività)” cioè una casella prima della possibile vittoria, conclusa tra lo scarico dei suddetti aiuti dalle navi americane. Questa tavola, nella semplicità del suo messaggio, nel disegno estremamente semplificato, nei forti colori, è l’esempio tipico di una progressiva involuzione del gioco dell’oca, graficamente sempre più povero, nei tratti e nelle idee, anche nelle versioni “classiche” con le sole ochette. Qualche margine di originalità sembra emergere proprio là dove si riattiva il ruolo di veicolo di propaganda. Ma gli esempi sono rari. Spicca, ancora in clima di guerra fredda, il gioco “Europa unita” dove il percorso si snoda attorno ad una carta dell’Italia e dell’Europa centrale. Il testo inneggia alla futura “Europa senza dogane”, che dovrebbe essere vantaggiosissima per l’Italia, per il suo turismo e per la vendita di prodotti agricoli. Inutile dire che i rischi, anche in questo caso, sono rappresentati dal “poliziotto di Baffone” o, al n. 22, dai campi di lavoro comunisti. E questa, databile all’inizio degli anni cinquanta, una delle ultime tavole che tentano di unire gioco e propaganda politica. D’ora in poi strumenti ben più efficaci e complessi saranno utilizzati, anche per un pubblico di giovanissimi, e il vecchio gioco dell’oca scomparirà quasi del tutto. Appaiono ancora, sporadicamente, tavole con chiari argomenti politici (è degli anni settanta, per esempio, un gioco della CISL veneta) che però, rivolgendosi direttamente ai militanti, non hanno di fatto alcuna finalità di gioco. Viene così meno quel curioso e interessante tentativo di unire funzioni ludiche e scopi propagandistici, invenzione grafica e didascalismo politico che aveva caratterizzato molti giochi dell’oca prima della guerra. Quelle tavole hanno però ancora oggi una funzione documentaria significativa per la storia della politica e del costume. |
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