Giochi dell'Oca e di percorso
(by Luigi Ciompi & Adrian Seville)
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"Il gioco dell’oca"
Autore: Lanari David 
Il gioco dell’oca
Non so cosa abbia affascinato Dietsch, Bertarelli e i molti altri che condividono questa passione. Se ci s’imbatte in qualche foglio antico o si ha la fortuna di immergersi in qualche collezione o visitare una mostra, si ha una sensazione di stordimento per la quantità di segni che ci vengono silenziosamente inviati. Anche se il gioco in se stesso può sembrare francamente troppo semplicistico, la quantità di disegni, colori, simboli determinano un tripudio iconografico ed espressivo che è disorientante e al tempo stesso stimolante per la ricerca di un qualche significato. Anche l’occhio più disattento viene colpito dalle continue diversità iconografiche organizzate su di un modello unico di sorprendenti ripetizioni: la spirale, le caselle numerate, il centro da raggiungere. Un metaforico viaggio cioé, segnato da diversi momenti che, correndo visivamente a ritroso nel tempo, dalle tavole più moderne a quelle più antiche, perdono via via gli ornamenti accessori e sorprendentemente svelano i nuclei fissi originari suggerendo chissà quali ipotesi e proponendo chissà quali congetture. Le tavole più antiche che ci sono pervenute, sebbene caratterizzate dalla stessa e ripetitiva struttura a spirale, avevano raffigurate solo alcune caselle significative, mentre tutte le altre erano prive di segni, vuote, forse insignificanti. Col passare del tempo, nonostante l’arricchimento e la diversificazione iconografica, si ha la chiara percezione che quei disegni originari, collocati sempre in quelle determinate caselle, non potessero essere altro che i simboli di qualcos’altro. C’è sempre un ponte alla casella numero 6, una locanda al 19, un pozzo al 31, un labirinto al 42, la prigione al 52, la morte al 58 e poi tante oche.

Struttura del gioco
Il gioco si svolge sopra un unico supporto (generalmente un foglio di carta detto tavola) di dimensioni variabili. Al suo interno è presente una lunga sequenza di caselle numerate in modo progressivo e disposte una di seguito all’altra in modo da disegnare un lungo tragitto a spirale ellittico o ovoidale, che dalla zona esterna conduce a quella centrale del foglio, la mèta, che in gergo viene detta giardino dell’oca (i giochi più antichi prevedevano un percorso fisso di 63 caselle). Sebbene siano tutte numerate progressivamente, nelle prime tavole pervenuteci erano presenti 41 caselle completamente bianche e soltanto le altre 22 avevano dei segni grafici aggiuntivi. Dalla seconda metà del XVII secolo questa caratteristica si è estesa poi a tutte le caselle del percorso. Prendendo in considerazione le prime 22 caselle disegnate, queste hanno conservato nel corso del tempo anche lo stesso simbolo originario, anche se diversamente disegnato e la stessa collocazione lungo il tragitto determinando le caratteristiche standard del gioco: un ponte alla casella numero 6, una locanda o osteria alla 19, un pozzo alla 31, un labirinto alla 42, una prigione alla 52, un teschio o la morte alla 58. In altre caselle invece sono raffigurate delle oche ed anche queste sempre nelle stesse caselle: 5, 9, 14, 18, 23, 27, 32, 36, 41, 45, 50, 54, 59. Vi sono poi due caselle, la 26 e la 53, che contengono due dadi disegnati ciascuna, con le due diverse combinazioni che danno 9 (3+6 e 4+5). Infine la 63 che costituisce la casella finale del gioco, il traguardo da raggiungere. Tutte queste costituiscono le “caselle parlanti originarie” del gioco perché nei tavolieri più vecchi non vi era traccia alcuna di regole scritte. Queste vennero aggiunte direttamente sul foglio solo in un secondo tempo, come “dichiarazione del gioco dell’oca” ed hanno sempre indicato il comportamento da tenere una volta raggiunta una delle caselle “parlanti”. Il gioco dell’oca si configura quindi come un gioco di percorso caratterizzato da eventi che agevolano oppure ostacolano il viaggiatore nel suo cammino, comportando vantaggi, soste o retrocessioni, e che sono simbolicamente rappresentati appunto dalle 22 caselle “fisse” menzionate. Si gioca con due dadi, la cui somma indica di quante caselle deve essere spostato ogni volta il segnalino di un giocatore; non viene fatta menzione del tipo di oggetto da utilizzare, probabilmente occasionale o un portafortuna. Altre fonti ipotizzano invece l’utilizzo di gettoni o di monete da depositare e raccogliere lungo il viaggio o da aggiungere nella zona centrale come deposito per il premio finale nelle versioni d’azzardo del gioco. Il numero dei partecipanti è assolutamente variabile, da un minimo di due, da 3 a 8, da 4 a 12... Il gioco tradizionale è graficamente caratterizzato, soprattutto nel XVIII e XIX secolo, da due grandi arcate, una più grande per l’entrata ed una per l’uscita nel giardino centrale. Proprio l’esistenza di questo spazio finale circoscritto ha suggerito ad alcuni l’ipotesi che il gioco in realtà avesse 64 caselle, delle quali 63 numerate, il percorso vero e proprio, mentre l’ultimo spazio costituirebbe il traguardo simbolico finale.

Le regole
Eppure il gioco dell’oca negli esempi originari doveva seguire soltanto regole verbali e probabilmente veniva giocato da un numero ristretto ed abituale di persone, evidentemente a corte. Solo successivamente le regole vengono aggiunte alla tavola in relazione alla probabile diffusione. L’obiettivo è chiaro ed intuitivo: arrivare per primi alla fine del percorso. Le regole scritte aggiungono di raggiungere esattamente l’ultima casella del percorso numerato, sommando via via i punti ottenuti dal tiro di due dadi (a volte si utilizza un solo dado una volta oltrepassata la casella 60). Qualora il punteggio superi l’ultima casella del percorso si ritorna indietro per il numero di caselle eccedenti. Arrivando in determinate caselle negative, si determinano delle eccezioni o penalità. Alla casella 6 (il ponte) il concorrente paga e va alla numero 12, alla 19 (la locanda) vi resta fermo per due tiri, alla 31 (il pozzo) vi resta fermo finché un altro arrivandovi non ne prende il posto, alla 42 (il labirinto) retrocede alla casella 39 (o alla 37), alla 52 (prigione) vi resta fermo finché un altro arrivandovi non ne prende il posto, la 58 (la morte) rimanda il giocatore alla prima casella. Esistono poi le caselle favorevoli, raffiguranti un’oca (5, 9, 14, 18, 23, 27, 32, 36, 41, 45, 50, 54, 59) e che consentono di raddoppiare il tiro effettuato. Esiste una ulteriore clausola, dapprima solo raffigurata da due dadi disegnati e poi anche scritta, che regola il primo 9 ottenuto al primo lancio di dadi. Essendo nella casella 9 raffigurata un’oca che consente di replicare il punto ottenuto, ed essendo presenti delle oche in tutte le caselle multiple di 9, si arriverebbe alla paradossale possibilità che un giocatore concluda il gioco subito al primo lancio. Non è chiaro se si tratti di una delle regole originarie del gioco o solo di un aggiustamento in corso d’opera ma si stabilì che il primo 9 ottenuto con un 3 e un 6 mandasse il giocatore alla casella 26, mentre il 9 ottenuto da un 4 e un 5 alla casella 53. Un’altra regola vuole poi che se un giocatore si ferma in una casella contenente il segnalino di un altro giocatore, s’inverta la posizione degli stessi (altre volte si paga semplicemente una penale). Il denaro o gettoni puntati (altre volte si fa riferimento a semplici fagioli) vengono raccolti e vinti da colui che termina il gioco arrivando per primo alla fine ossia al fatidico 63. Le regole hanno subito nel corso dei secoli dei cambiamenti in base alle consuetudini, agli accordi verbali, o alle abitudini locali di determinate zone geografiche. Tuttavia il gioco ha mantenuto sostanzialmente immutata la sua struttura complessiva e le sue modalità. Probabilmente la caratteristica originale del gioco dell’oca rispetto agli altri giochi di percorso sta nella regola che consente di replicare il punto ottenuto una volta arrivati in una casella favorevole raffigurante l’oca, tanto da qualificarlo appunto come gioco dell’oca. Con il passare dei secoli si diffusero altri giochi sullo stesso modello, ma differenti per l’argomento proposto. Il gioco assumerà i connotati di gioco a tema politico, morale, storico e pedagogico tanto da sostituire il simbolo dell’oca con altri simboli più appropriati per il tema scelto, pur mantenendo la stessa funzione favorevole: scimmie, tram, mongolfiere. La stessa lunghezza del percorso subirà degli adattamenti: 80 caselle in sostituzione delle 63 canoniche nel “Giro del mondo in 80 giorni”, un gioco di tema geografico derivato dal romanzo di Verne. Questi giochi derivati da quello dell’oca, nonostante gli adattamenti iconografici muteranno in toto dall’originario lo schema ludico di percorso a spirale e le modalità di svolgimento.

I diversi piani del gioco. Segni nel gioco e il loro significato
Da più parti si è cercato di intravedere nella struttura del gioco e nei continui richiami ad una simbologia profonda dei significati diversi ed ulteriori a quelli naturali del semplice giocare: “Il ponte permette il passaggio da una riva all’altra, da uno stato dell’essere ad uno stato più evoluto; l’osteria (o locanda) è il riposo, la pausa creativa che permette l’evoluzione ad un nuovo livello; il pozzo è la sintesi dei tre elementi: acqua, terra, aria, è una strada vitale della comunicazione, è il simbolo di conoscenza; il labirinto simboleggia un sistema di difesa contro chi vuole violare l’intimità delle relazioni con il divino; la prigione simboleggia, il luogo della morte dell’uomo “vecchio” e la nascita dell’uomo “nuovo”; infine la morte, figlia della notte, sorella del sonno, possiede il potere di rigenerare” (Dietsch). Per questo sono stati proposti diversi piani di lettura dell’oca: “la metafora nel gioco è duplice: vi si rappresenta il percorso della vita irto di difficoltà e di premi per raggiungere la mèta, ma è anche la rappresentazione di un percorso che le anime dei defunti devono compiere per giungere nel mondo che appartiene a loro” (Cardelli).

Il simbolismo dei segni
In effetti, nel gioco dell’oca sono presenti degli elementi che ricorrono sin dalle tradizioni più antiche: la struttura a spirale, l’oca, il ponte, il labirinto, la morte, il pozzo, la prigione. Il gioco si presenta caratterizzato da una notevole quantità e persistenza di segni tanto da far presupporre agli studiosi una natura esoterica e un linguaggio simbolico nascosto. Che la vita umana sia considerata come un “cammino” è una metafora usuale e da sempre presente nella tradizione culturale nella storia delle civiltà sia quelle classiche che medioevali. Per il medioevo aveva un’accezione più intrinseca, il viaggio era soprattutto peregrinazione; l’uomo sempre in esilio ed in cerca della propria interiorità, la vita è il pellegrinaggio dell’anima che vuole ricongiungersi alla propria natura spirituale. Le ipotesi esoteriche trovano terreno fertile nella concezione religiosa della creazione del mondo. Il mondo terreno è visto come copia di quello ultra terreno, come doppio di quello celeste; caratteristica comune a qualsiasi religione. Vi è nelle religioni la credenza arcaica negli archetipi celesti: è il prototipo celeste che conferisce validità alle creazioni umane. Il gioco ha oggi perduto il significato esoterico o religioso che gli è stato da più parti attribuito. Le caselle restano solo come i simulacri delle difficoltà dell’uomo nella vita, o dell’anima nel viaggio all’aldilà. Una vuota simbologia che rappresenta le vuote tappe di un percorso ormai scontato.

L’oca
All’oca viene assegnata una profonda importanza e sin dall'antichità le viene attribuita anche una complessa valenza simbolica, sebbene oggi abbia subito un lento processo di svalutazione (è oggi consuetudine associare l’oca al parlare a vanvera, alla leggerezza di costumi o come sinonimo di una non proprio ostentabile intellettualità femminile). Vi sono diverse ipotesi che propongono il gioco, a diversi livelli, proprio come omaggio all’oca.
L’oca come premio culinario
Presso i Greci e i Romani l’oca era molto apprezzata da un punto di vista gastronomico. Plinio ricorda come i Romani apprezzassero le zampe d’oca abbrustolite. Ed Ovidio, nelle Metamorfosi, lo ritenne un animale tanto prelibato da poter essere degnamente offerto agli dei. In Inghilterra si usa mangiare un’oca per il giorno del Grande Psicagogo del mondo cristiano, l’arcangelo Michele, il 29 settembre; chi ottempererà a questa tradizione non si troverà mai in difficoltà nel pagare i suoi debiti. L’oca fu oggetto di scambio nella cultura popolare e considerata da sempre “al pari del maiale (...) un animale di cui nulla si butta. Dalle piume, alla carne, al fegato e alle zampe, tutto è utilizzabile” (Domini). L’intento, o la celebrazione gastronomica del gioco viene riportata al centro della tavola del Coriolani, dove viene rappresentato un banchetto. Era costume nel 1700 festeggiare l’arrivo dell’inverno (11 novembre), giorno di San Martino, mangiando un’oca. “Il D’Allemagne ritiene perciò il connubio oca-gioco derivato dall’usanza dei giocatori di impiegare la vincita nell’acquisto di una grossa oca da imbandire in tavola” (Domini).
L’oca come simbolo
La scelta dell’oca come emblema simbolo del gioco probabilmente non è stata dettata dal caso o dalla tradizione gastronomica, ma potrebbe rientrare anche nel clima di recupero simbolico della classicità e del suo simbolismo che ha caratterizzato la cultura rinascimentale. L’oca fu associata alla consultazione della sorte e acquisì una profonda valenza divinatoria nella letteratura a soggetto astrologico-cabalistico-divinatorio del Rinascimento. E anche l’antichità aveva manifestato per il nostro animale un riguardoso rispetto. Per Erodoto fu venerata come sacra presso gli Egizi: “oca del Nilo” e il suo geroglifico, “ka” simbolo del Faraone, stette a significare “figlio di re” del quale rappresentò anche l’anima. Il volo di quattro oche nella direzione dei punti cardinali fu considerato il rito cosmico che celebrava l’avvento di un nuovo Faraone; come l’arrivo dell’oca annuncia l’inizio della nuova stagione, così il suo ruolo simbolico fu messo in relazione alla rifondazione magica del regno e del cosmo stesso. La ricomparsa del volatile associato a quello della buona nuova stagione come uccello divino e annunciatore degli dei del cielo fece dell’oca un simbolo profetico anche nei mondi celtico e germanico. Sono stati narrati famosi episodi storici che ne ricordano il ruolo di avvisatrici, guardiane e per questo promosse a protettrici della casa (da ricordare ad esempio il più volte citato episodio delle oche che avvertirono nella notte i Romani dell’assedio dei Galli Senoni al Campidoglio nel 387 a.C.). Essa condivide con il cigno il ruolo di simbolo della donna soprannaturale, la Grande Madre da cui ha origine tutto (Cattabiani). Messaggere dell’altro mondo presso i Celti, accompagnatrici dei devoti nei pellegrinaggi verso i santuari. I popoli antichi gaelici della Spagna settentrionale attribuivano al maestro l’appellativo di “oca” perché questa rappresentava una sapienza superiore, guida inviata dagli dei. I mastri costruttori delle cattedrali medioevali adottarono la zampa d’oca come simbolo di creatività (Fuentes). Nell’iconografia cristiana è famosa l’oca di Martino di Tours: il santo che si festeggia l’11 novembre è spesso raffigurato con ai piedi l’oca causa della sua acclamazione a vescovo in quanto rivelatrice del nascondiglio scelto dal Santo per rifuggire da tale incarico. L’oca fu considerata anche una grande marciatrice: al tempo di Plinio - quando già si cominciava ad apprezzarne il fegato come cibo - si diceva che le oche provenissero direttamente a Roma da Calais in branchi sempre marciando a piedi e che quelle più stanche venissero portate davanti nelle prime file così che le altre le spingessero. Da qui, forse, Federico il Grande di Prussia adottò il passo, detto dell’oca, per far marciare i suoi soldati durante le parate. Fu un animale evidentemente considerato dotato di certa sacralità se alla fine dell’XI secolo lo troviamo a guidare frotte di pellegrini diretti alla volta di Gerusalemme. In questo scenario l’oca acquista un significato altamente positivo, il simbolo del maestro guida nel cammino individuale d’iniziazione: un antenato del Virgilio di dantesca memoria. Non sappiamo se e quale di questi aspetti abbiano promosso l’oca a protagonista emblematica del “gioco dell’oca” come sorta di oscuro percorso labirintico che si supera a colpi di dadi, per eccellenza simbolo del destino.

Origine in base ai documenti
Fonti certe, a cavallo del XVI secolo, ne documentano un’importante e rapida diffusione in quasi tutta l’Europa centro occidentale senza peraltro datarne con certezza l’origine. E’ormai consuetudine, da parte della maggior parte degli studiosi e forse a ragione, assegnare i natali del gioco al Granducato di Toscana intorno alla seconda metà del XVI secolo. In particolare dovrebbe essere stato Francesco de’ Medici tra il 1574 -1587 (anche se altri attribuiscono il merito al fratello Ferdinando I) ad avere inventato il gioco ed averlo poi dato in dono all’allora reggente di Spagna Filippo II. La prova addotta è degli inizi del secolo successivo e più precisamente è un trattato sul gioco degli scacchi stampato in Sicilia, a Militello, nel 1617 da Pietro Carrera. In realtà se esaminiamo con attenzione il documento, notiamo che non si parla affatto di invenzione originaria del gioco bensì di ritrovamento e reinvenzione. Lo stesso Carrera parla di un gioco analogo e sulla base del quale fu ritrovato/reinventato un altro in Spagna da Alonso de Barros dal nome di Filosofia cortesana nel 1587. Nel gioco spagnolo vengono utilizzate delle caselle accompagnate da proverbi morali. Il gioco del de Barros (inventato probabilmente su matrice di un altro preso a modello secondo gli usi dell’epoca come ricordato dal Carrera) Filosofia cortesana moralizada o Filosofia corteggiana è un gioco basato sulla metafora della carriera e della vita dell’uomo d’arme. Questo documento spagnolo è sicuramente importante soprattutto perché è il primo documento nel quale vengono riportate parte delle regole e delle modalità di svolgimento del gioco (Trevor Dadson). Da notare che nel gioco spagnolo la collocazione delle caselle fisse è già diversa da quella del gioco dell’oca che noi conosciamo dalle tavole più antiche a noi pervenute (Coriolani). Troviamo sicuramente il nostro gioco introdotto in molte corti europee del XVI secolo con un nome che è la semplice traduzione del nome nella lingua locale (Jeu de l’oie in Francia, Juego de la oca in Spagna, Game of the goose in Inghilterra, Gans spiel in Germania). Agli inizi del XVII secolo, si può collocare il primo tentativo di diffusione popolare del gioco: John Wolfe registrò “il copyright” di una tavola di mastro Hartwelles presso lo Stationer’s Hall di Londra il 16 giugno 1597 con il nome di “The new and most pleasant game of the goose” come si può notare dall’estratto del registro londinese. Nello stesso periodo in Francia ci sono tracce storiche documentate del gioco nelle Memoires di Héroard (1612), medico e precettore dell’allora adolescente Re di Francia Luigi XIII. In questo documento vengono riportate come in un diario le attività quotidiane del giovane Re, tra le quali i momenti passati a giocare all’oca. In tutti questi documenti viene testimoniata la sicura presenza del gioco, mentre in nessuno ne viene accertata l’origine o viene in qualche modo individuata la tavola originaria che può essere presa come modello di riferimento.Esistono tuttavia altri documenti, la cui pubblicazione è precedente a quella dei testi sin qui citati dove si riporta la lista di giochi praticati a quel tempo e non trovandovi tra questi il gioco dell’oca se ne presuppone la data d’origine come successiva. Alcuni considerano il gioco dell’oca come gioco di dadi su tavoliere. Nel 1520 Gerolamo Cardano scrive “De ludo aleae”, breve trattato sui dadi e sui giochi di sorte e di fortuna e di matematica combinatoria in riferimento al lancio dei dadi. Alla luce dei soli documenti storicamente attendibili, il periodo più probabile della nascita del gioco dell’oca (sempre che sia questo il suo nome originario), si potrebbe restringere molto probabilmente intorno alla fine del ‘500. Ci troviamo così di fronte ad un gioco di possibile origine italiana che appena inventato, subito varca rapidamente le frontiere e s’ impone pressoché contemporaneamente in quasi tutta l’Europa centro occidentale, sia nella nostra penisola (o perlomeno in Toscana), in Francia, Inghilterra, Francia, Germania. In questa ottica il gioco può essere benissimo stato inventato per i più diversi motivi, siano essi divinatori, ludici, d’azzardo. Ma come in uso all’epoca, esso viene presto copiato e duplicato a dismisura. L’aggettivazione di “nuovo”, “nuovissimo”, “novo e piacevole” che accompagna quasi sempre il gioco potrebbe confermare questa ipotesi. Prendiamo ad esempio le tavole I e II: se escludiamo la raffigurazione centrale del giardino dell’oca vediamo che le differenze iconografiche della tavola sono minime. Il personaggio in basso nel quadrante di destra ha la stessa postura: si tiene il cappello con la sinistra, tenendo con la destra lo pseudo-cartiglio nel quale è presente il nome dell’ autore dell’opera, in tipico stile rinascimentale. Il personaggio nel portico d’ingresso di uno è l’immagine speculare dell’altro, etc. La stessa cosa è avvenuta nelle versioni del gioco del Giro del mondo nei primi anni del 1900 in Italia. Sulla scia del successo di un esempio, ne sono stati prodotti in serie di quasi identici da editori diversi (Marca Stella e Carroccio): stessa iconografia delle caselle e solo qualche piccolo cambio di descrizione testuale di alcune caselle: “Quando una cosa funziona ..."

La tavola più antica
E’opinione diffusa che la tavola del gioco dell’oca più antica che sia arrivata fino a noi è “Il dilettevole gioco di Loca” di Carlo Coriolani, stampato a Venezia nel 1640. Se si escludono pochi casi, quasi tutte le tavole più antiche non sono datate. L’attribuzione è stata fatta solo a posteriori in base allo stile, al materiale usato e alle diverse tecniche di incisione. Quindi il problema principale che riguarda l’individuazione dell’esemplare più vecchio del gioco è ovviamente legato all’avvicinarsi in maniera quanto più precisa della datazione corretta degli esemplari. Quando parliamo di giochi dell’oca antichi parliamo quasi esclusivamente di stampe su carta. La scelta della tecnica adottata dall’autore ci dà un'indicazione importante per quanto riguarda la datazione del gioco. La tecnica più antica è quella xilografica, risalente agli inizi del Quattrocento e si sviluppa principalmente in Francia, Germania, Paesi Bassi come tecnica di decorazione dei tessuti. Ha il suo periodo di maggior utilizzo in campo artistico come divulgazione popolare d’immagini devozionali ed ha in Durer il massimo esponente nel Cinquecento. In Italia si conosce una variante tecnica detta del “chiaroscuro”. L’incisione su rame è di poco posteriore, metà XV secolo, e sarà utilizzata quasi ininterrottamente fino ad oggi. La tecnica su pietra è degli inizi dell’Ottocento, ed oltre ad essere più semplice è in grado di fornire un numero quasi illimitato di copie, a differenza delle prime due tecniche nelle quali essendovi l’usura materiale della matrice ne consegue una caduta qualitativa della stampa finale. Il tipo di matrice scelto si può intuire direttamente dalla stampa in quanto l’incisione su metallo consente un tratto più sottile e quindi una resa qualitativa maggiore della xilografia. Un altro elemento che differenzia le varie tecniche è l’utilizzo del colore. Le xilografie più antiche venivano quasi sempre completate con l’aggiunta di colore a mano secondo il gusto del cliente (xilografia colorata). Si parla invece di xilografia a colori solo successivamente con l’utilizzo di più legni diversamente colorati e impressi in momenti successivi sullo stesso foglio. La variante del “chiaro scuro” prevedeva l’uso di quattro o più legni e fu successivamente perfezionata fino ad arrivare ad una decina.

Significato ed interpretazione: i numeri e i segni del gioco
Un aspetto che ha molto incuriosito studiosi ed appassionati è senz’altro l’interpretazione esoterica dei numeri del gioco dell’oca, la loro combinazione e la riduzione cabalistica (ridurre un qualsiasi numero ad uno composto di una sola cifra dalla quale poi ricavare un significato) sulla scia del successo avuto nella cultura rinascimentale. Vediamo i numeri presenti nel gioco. Sono presenti 6 caselle negative in quanto prevedono, almeno nelle versioni d’azzardo del gioco, il pagamento di una specie di gabella, il rallentamento o la fermata del giocatore. Il numero corrispondente alle suddette caselle è sempre lo stesso: 6, 19, 31, 42, 52, 58 con una progressione di +13,+12,+11,+10,+6 caselle. Esistono poi 14 caselle positive rappresentate dall’immagine di un’oca. La distanza di queste è alternativamente di 4 e 5 caselle l’una dall’altra: 5, 9, 14, 18, 23, 27, 32, 36, 41, 45, 50, 54, 59 e 63. Altri preferiscono considerare 2 serie di 7 caselle favorevoli ciascuna; così facendo ogni casella della serie è distanziata dalla precedente sempre di un numero fisso di 9 caselle: 5, 14, 23, 32, 41, 50, 59 e 9, 18, 27, 36, 45, 54, 63 (casella finale). Il gioco in tutte le sue edizioni più datate termina nella zona centrale del foglio, il giardino dell’oca, con un percorso a spirale centripeta in senso antiorario di 63 caselle. L’apparente o reale ripetizione di alcuni numeri e l’applicazione in chiave cabalistica della riduzione di un numero a cifra unica ha fatto sì che siano state avanzate ipotesi suggestive. D’altronde vi è una profonda tradizione che ha fede nei numeri, soprattutto nel Medioevo. Ad esempio il tavolo del gioco è diviso in 63 caselle; questo numero ridotto ad una sola cifra dà 9: 63=6+3=9. È pure 9 il numero degli ostacoli che si incontrano nel percorso: caselle 6, 19, 26, 31, 42, 52, 53, 58. La somma di tutte queste caselle dà invece 8, che è lo stesso numero derivante dall’applicazione del metodo di riduzione per le caselle dei Dadi (caselle 26 e 53): 26=2+6=8 e 53=5+3=8. Il numero 9 è anche il numero che si ottiene per accedere alle caselle raffiguranti i dadi: 5+4 oppure 6+3. Inoltre ogni casella dell’oca si trova distante 5 caselle dalla precedente e 4 caselle dalla successiva, ma, come detto poco sopra, queste possono essere viste come raggruppate in due sequenze di 7 caselle, ciascuna distante dall’altra 9 caselle. Altri sostengono poi che lo stesso percorso del gioco è un grande 9. A parte i virtuosismi matematici, i numeri del gioco, nel loro complesso, non sembrano utilizzati in modo casuale. “La presenza del 9 e del 7, cifre cabalisticamente cariche di superstizione e valenze esoteriche, il cui prodotto corrisponde proprio alla mèta da conquistare, sembra costituire il tessuto magico simbolico del gioco. (Mascheroni&Tinti)”. Nella sua forma originaria il gioco dell’oca può essere visto chiaramente come gioco della vita umana con i suoi momenti favorevoli (rappresentati dalle oche) e con i suoi ostacoli, preoccupazioni, arresti, azzardi, cadute (le caselle fisse negative) e tutti questi eventi esotericamente interpretabili.

Funzione ed evoluzione del gioco
Come invenzione originale, o come esempio di altri giochi presi a modello, l’origine del gioco dell’oca dovrebbe collocarsi a ridosso della fine del XVI secolo. Non è chiara neppure la funzione originaria del gioco: strumento ludico di puro diletto e passatempo oppure gioco d’azzardo? Il gioco dovrebbe delinearsi inizialmente come momento ludico nobile prevalentemente praticato a corte. Diventerà, nella consuetudine popolare, il gioco con il quale scommettere somme in denaro. La specifica d’azzardo diventa però evidente solo in un secondo tempo, quando sulle stesse caselle viene esplicitamente riportato il numero di gettoni o monete da caricare o ritirare o per la presenza di scritte del tipo: “chi non vol perdere non giochi” e “chi perde suo danno che così va il gioco”. Le prime tavole però non riportano in maniera esplicita riferimenti al gioco come d’azzardo. Questa caratteristica sarà invece palesemente riscontrabile nelle tavole di fine 600 dell'incisore bolognese Giuseppe Maria Mitelli. Questi incomincia a realizzare tavole chiaramente d’azzardo sia per il contenuto della dichiarazione del gioco sia per la legenda delle caselle dove si trovano stampate le lettere T (tira = prendi) e P (paga). Il periodo di produzione dei giochi del Mitelli è successivo alla datazione attribuita alla tavola del Coriolani di poche decine di anni e vengono considerate a distanza di molto tempo delle bizzarre trasformazioni degli originali giochi dell’oca. In un almanacco del 1940 il gioco dell’oca viene definito “gioco d’azzardo antichissimo”, e “uno dei giochi più antichi e remoti fra quelli d’azzardo, e i nostri antenati l’usarono tanto e in modo così biasimevole che Luigi XIV di Francia fu costretto a proibirlo severamente” (Ricciulli). Parlett parla di caso unico di gioco di lotteria per i tempi della sua diffusione. “Gioco del focolare per eccellenza, si prestava tuttavia a soddisfare il vizio degli incalliti scommettitori”(Mascheroni&Tinti). Esempi di giochi tipicamente d’azzardo dell’epoca sono però il Pela il chiu e L’Arlecchino. In questi fogli cambia profondamente sia lo svolgimento del gioco come pure il significato e il ruolo del tavoliere nel contesto ludico. Se si esclude l’utilizzo dei dadi, questi giochi non sono neanche lontani parenti della nostra oca. Il tavoliere diventa un referente statico in quanto è assente il percorso da compiere e sul quale muovere il proprio segnalino; diventa solo il supporto descrittivo delle regole e delle combinazioni dei dadi o il luogo dove “caricare” le somme perdute o da vincere. Verso fine ‘600 alla tradizionale struttura a caselle vuote e simboli fissi delle prime tavole, si sostituisce un tragitto completamente figurato e si presentano variazioni sul tema dell’oca. Il gioco comincia a perdere il suo significato originario presunto e diventa modello per designare percorsi a tema nei quali prevalgono, in sintonia con lo spirito del tempo tematiche emblematiche, nel senso originario del termine: blasoni nobiliari ed araldica. Vengono pubblicati in Francia intorno al 1670 diversi “Jeu du blason”, in Italia viene realizzato un gioco sugli emblemi delle famiglie napoletane. Nella collezione Bertarelli di Milano è presente un “Nuovo gioco del Barone” stampato a Bologna e datato 1656. Nel gioco del Barone sono evidenti alcune varianti che lo discostano strutturalmente ed iconograficamente da quello dell’oca: il numero totale di caselle (76), e a parte il ponte anche qui collocato alla casella n.6, le rimanenti sono poste probabilmente in funzione di un percorso allungato di 13 caselle. Ad esempio il pozzo al 39, i dadi raffiguranti la combinazione 3+6 alla 33, la morte al 73. E poi sono stati introdotti molti altri disegni: il bosco, il facchino, la lettiga, il gatto... In realtà non si riesce a trovare una logica numerica della nuova collocazione delle caselle, quasi poste arbitrariamente lungo il percorso. Nel gioco in questione è invece evidente la scommessa e l’azzardo: l’ultima casella ha un’inequivocabile descrizione di “TIRA DA TUTTI” e le caselle raffiguranti il Barone, come la n.10 o la n.40 “BARON T1 DAT” o la n. 53 “BARON T2 DAT” indicano una vincita. Il pagamento invece è dato da una descrizione come quella di casella n.8 raffigurante una nave: “NAVE P 1 VA AL 17” (NAVE Paga 1 e VA AL 17). Sempre nella Raccolta Bertarelli è presente un’altra tavola dello stesso gioco, assolutamente identica a questa descritta con la sola variante dell’immagine centrale stampata in maniera speculare a quella del primo foglio e con l’aggiunta di un “CHI VOL GIOCAR METTA SU”. È assente invece nell’angolo in basso a destra la data di stampa e l’autore. Ci troviamo forse di fronte, ricordando Pietro Carrera, ad una frettolosa ed approssimativa “nuova invenzione” del gioco? Il gioco viene citato in diversi documenti sebbene non se ne magnifichino le doti: “Il labirinto diventerà (...) un gioco di società popolare durante il Seicento, praticato anche alla corte di Luigi XIV. Moliére nell’Avaro (Atto II scena II) definisce il gioco dell’oca come un divertimento utile soltanto a far passare il tempo a chi non ha niente da fare” (della Veneria). Il gioco dell’oca diventa invece modello di riferimento di molti altri giochi realizzati sullo stesso schema. Dal XVIII secolo il gioco sarà il testimone ludico della società assumendo le trasformazioni e i travestimenti più vari: da strumento di passatempo a ricreazione pedagogica, da promozione pubblicitaria a propaganda politica sempre sullo stesso apparato e schema di percorso ludico. Un gioco in continua evoluzione tematica in base ad una struttura ludico-comunicativa universale. Nel corso dei secoli, con i temi cambieranno anche i destinatari e gli intenti del gioco: “Ai nostri giorni il gioco dell’oca ha perso terreno anche presso i fanciulli. Ai quali i genitori ora regalano un’altra specie di passatempo, che da quello dell’oca deriva; ma non è questo... oca. Anzi, vorrei che ai giovanetti fosse regalato un po’ più di frequente, perché con la scusa del giuoco si obbligano a imparare cose utili, per non dire necessarie nella vita” (Gelli). Al puro passatempo o al gioco d’azzardo subentra l’imparare divertendosi e il percorso viene adattato di volta in volta alle esigenze del tema scelto. È chiaro l’intento pedagogico ed educativo, a sfondo Storico o Geografico. Non mancano tavole celebrative. Scoperto come strumento di comunicazione universale diventa foglio di propaganda militare, politica o religiosa. Fungerà da mezzo di promozione per organizzazioni associative e testimone del progresso scientifico. Sarà usato come metafora della vita umana e al passo con i tempi assumerà il ruolo di veicolo promozionale e pubblicitario. Sulla scia del successo ottenuto dal gioco dell’oca, sullo stesso modello si affermeranno altri esempi. In Francia a cavallo tra ‘800 e ‘900 il gioco dell’oca si accompagna in scatole di legno con la dama e gli scacchi o con altri giochi alla moda dell’epoca. In Italia, invece nello stesso periodo riprende voga il già citato gioco del Barone che sostituirà in celebrità il gioco dell’oca stesso: “Ma il passatempo che prediligevo era il Barone, fratello dell’Oca, se pur di questa assai più bello e vario (...) una spirale fino al 76, ch’è il “Tira tutti” (...) e qui sorgeva la guerresca effige (simbolo forse della tua vittoria) d’un eroe sbandierante che, a gran voce, fiero sen già di se stesso cantando: “Ciò che si vede attorno è mia giurisdizione, per questo merto il titolo di celebre Barone” (Giuliotti). Nel secondo dopoguerra il gioco del Barone tornerà di nuovo nell’ombra fino a scomparire definitivamente dalla scena. Il gioco dell’oca ha avuto nella sua secolare storia la capacità di una grandissima trasformazione passando da puro gioco a metafora di gioco. Questa metamorfosi è stata in gran parte determinata dalla semplicità e dall’universalità della struttura del gioco tanto da aver mantenuto contemporaneamente sia il ruolo di “gioco d’azzardo per eccellenza, ma che gli adulti donano ai bambini come gioco pedagogico” (Domini).
 

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