Giochi dell'Oca e di percorso (by Luigi Ciompi & Adrian Seville)

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Giuoco (Il) del Missionario

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	primo autore:	Nardella Arduino
	secondo autore:	Nardella Arduino
	anno:	1936
	luogo:	Italia-Milano
	periodo:	XX secolo (2°/4)
	percorso:	Percorso di 75 caselle numerate
	materiale:	carta (paper) (papier)
	dimensioni:	386X577
	stampa:	Cromolitografia
	luogo acquisto:	Italia-Lucca
	data acquisto:	20-03-1989
	dimensioni confezione:
	numero caselle:	75
	categoria:	Grandi viaggi e Giri del Mondo
	tipo di gioco:	Gioco di percorso
	editore:	Pro Scuola Apostolica Carmelo-Monza
	stampatore:	Arti Grafiche Enrico Gualdoni, Milano
	proprietario:	Collezione L. Ciompi
	autore delle foto:	L. Ciompi
	numero di catalogo:	340
	descrizione:	Gioco di percorso di 75 caselle numerate, spirale, antiorario, centripeto. L'oca viene sostituita dalla colomba; partenza dal Vaticano con benedizione e arrivo a Milano. Non sono rispettate le regole classiche del Gioco dell'Oca. REGOLE: al centro. "Regole del gioco. Prendere due dadi cubici per stabilire l'ordine di partenza dei giuocatori, si fissa la posta ed ognuno la mette sul banco. Il giuocatore che al primo getto forma il 9 con 5 e 4 va al N°49 sulla via del ritorno; chi invece fa al primo getto il N°9 con 6 e 3 va al N°24 sui Monti degli Arussi. I numeri rossi rappresentano le soste ed i pericoli richiamando l'attenzione del giuocatore sulle regole del giuoco, e cioé: Chi va al N°8 reciterà le preghiere assieme al Missionario e starà fermo un giro. Chi va al N°16 incontra i predoni Tuaregh, paga doppia posta e scappa al N°20. Chi va al N°21 viene ospitato nella Sede del Governatore e sta fermo due giri prima di riprendere il viaggio. Chi va al N°30 presterà amorevoli cure al Missionario ammalato e sosterà un giro. Chi va al N°38 sarà stanco del viaggio e riposerà assieme al Missionario per 2 giri se però si sente in forze, paga la posta e prosegue ripetendo il numero dei punti fatti. Chi va al N°42 viene catturato dai Cannibali e non proseguirà più salvo che un altro giuocatore lo prelevi restando quest'ultimo preda degli stessi. Chi va al N°48 farà compagnia al Missionario per tutto il periodo della missione, 3 Lustri e cioè starà fermo per 3 giri. Chi va al N°54 le capita grande sventura ossia resta vittima dei ferocissimi predoni Maori ed è spacciato; in tal modo non partecipa più al giuoco e resta eliminato. Chi va al N°58 incontra una tempesta che lo riporta al N°55. Chi va al N°63 ha sbagliato strada e per riordinare le idee ricomincia il giro da capo aspettando s'intende il suo turno. Chi va al N°71 entrerà in Chiesa a pregare perchè arrivi al N°75 ed a tal uopo resterà fermo un giro. Sulle figure ove sono disegnati gli animali è vietato soffermarsi e chi vi arriva prosegue ripetendo il numero già fatto e se vi arriva di nuovo prosegue ancora; questi numeri sono: Il 6 - 9 - 14 - 18 - 23 - 27 - 32 - 36 - 41 - 45 - 50 - 59 - 65 - 72. Chi arriva al N°70 getta un dado solo e chi oltrepassa il N°75 retrocede di tutti i punti eccedenti. Il giuocatore che arriva esattamente al N°75 ha vinto la partita." CASELLE: con didascalia. Cas. 1): PARTENZA; Cas. 2): Città del Vaticano; Cas. 3): Benedizione; Cas. 4): Napoli; Cas. 5): Calabris; Cas. 6): Lupo; Cas. 7): Messina; Cas. 8): Preghiera; Cas. 9): Colomba; Cas. 10): Siracusa; Cas. 11): Alessandria; Cas. 12): Il Cairo; Cas. 13): Sfinge; Cas. 14): Colomba; Cas. 15): Carovanieri; Cas. 16): Tuaregh; Cas. 17): Oasi; Cas. 18): Colomba;Cas. 19): Nilo; Cas. 20): Asmara; Cas. 21): Governatorato; Cas. 22): Addis Abeba; Cas. 23): Leone; Cas. 24): Monti degli Arussi; Cas. 25): Caffa; Cas. 26): Fiume Bottego; Cas. 27): Elefante; Cas. 28): Lago Rodolfo; Cas. 29): Portatori;Cas. 30): Malattia; Cas. 31): Confine; Cas. 32): Colomba; Cas. 33): Esploratore; Cas. 34): Uganda; Cas. 35): Tanganica; Cas. 36): Ippopotamo; Cas. 37): Notte; Cas. 38): Riposo; Cas. 39): Villaggio; Cas. 40): Foresta; Cas. 41): Pappagallo; Cas. 42): Cannibali; Cas. 43): Livingstone; Cas. 44): Pigmei; Cas. 45): Serpente; Cas. 46): Rhodesia; Cas. 47): Cucina; Cas. 48): Missione; Cas. 49): Ritorno; Cas. 50): Colomba; Cas. 51): Camerun; Cas. 52): Nigeria; Cas. 53): Sahara; Cas. 54): Maori; Cas. 55): Rio d'Oro; Cas. 56): Marocco; Cas. 57): Tunisia; Cas. 58). Tempesta; Cas. 59): Pescecane; Cas. 60): Valenza; Cas. 61): Barcellona; Cas. 62): Marsiglia; Cas. 63): Strada Errata; Cas. 64): Civitavecchia; Cas. 65): Colomba; Cas. 66): Livorno; Cas. 67): Pisa; Cas. 68): Firenze; Cas. 69): Bologna; Cas. 70): Piacenza; Cas. 71): Chiesa; Cas. 72): Colomba; Cas. 73): Lombardia; Cas. 74): Milano; Cas. 75): ARRIVO.
	bibliografia:	1) MASCHERONI, Silvia - TINTI, Bianca: “Il gioco dell’oca: un libro da leggere, da guardare, da giocare” Ed. Bompiani, Milano 1981.
		Il Giuoco del Missionario (Mascheroni&Tinti)
		"Quarant'anni dopo...Nel mondo è successo di tutto, dalla guerra alla Grande crisi. L' Italia ha il suo Duce e le sue colonie, si viaggia in automobile e in aereoplano, ma nel gioco nulla sembra cambiato. Andiamo a "leggere". Il Missionario va a piedi, si fa benedire da Pio XI, si ferma a pregare e via...trasportato dalla colomba (edificante metamorfosi dell'Oca) sulle coste d'Africa e poi più dentro lungo il Nilo. Scavalcando i Monti degli Arussi, proprio uguali alla Punta del Galles, arriva in Tanganica dove trova- oh meraviglia!- le medesime capanne in uso a Sidney. Catturato dai Cannibali che l'amore cristiano rende meno crudeli dei sioux, è costretto a fermarsi, ma finisce col salvarsi. Appuntamento col serpente al 45, ma la perfida bestia (rimasta nella stessa casella per tanti anni ad aspettarlo...) ammansita come gli altri animali feroci dallo spirito francescano, accellera inaspettatamente il suo cammino. Nel Camerum come a S.Francisco ci sono i cercatori d'oro e il ponte che attraversa in Nigeria è lo stesso dell'ardita ferrovia nella Sierra Nevada. Altre analogie se le cerchi il lettore e si diverta...Le soste obbligate del giocatore son per lo più legate a momenti di edificazione dell'anima, di riflessione spirituale, di ristoro del corpo affaticato dal lungo andare e se per tre giri, corrispondenti a tre lustri, dovrà restare alla Missione, lo farà con gioia: questo è il suo scopo. Se infine dovrà morire e ritirarsi, lo farà per mano dei maori ferocissimi predoni di razza polinesiana che, in virtù di un miracoloso svarione linguistico, sono trasportati dalla Nuova Zelanda nel deserto mauretano...
		La storia del Carmelo di Monza
		ARDUINO NARDELLA (Giuseppe Possa)
		Arduino NARDELLA... chi non conosce questo straordinario personaggio?” scriveva nel 1954 Leonardo Borgese sul “Corriere della Sera”. In effetti, in quel periodo, il pittore Nardella (S. Severo 1907 - Nizza 1978) era assai noto. Dopo la guerra diede, infatti, vita all’Associazione Artisti d’Italia (alla presidenza fu chiamato Francesco Flora, che “fuse gli umori e smussò gli attriti”), composto da un gruppo di valenti artisti (Campigli, Cantatore, Carpi, Carrà, Casorati, De Chirico, De Grada, De Pisis, Funi, Guidi, Mafai, Manzù, Marini, Minguzzi, Morandi, Rosai, Savinio, Sironi, Tosi, Mascherini, Vagnetti, Semeghini, oltre ovviamente Nardella) che per anni espose a Palazzo Reale di Milano. Dopo la retrospettiva di Bari del 1981, a cura e con la presentazione di Achille Bonito Oliva, Nardella cadde, però, nell’oblio e oggi è praticamente dimenticato. UNA GIOVINEZZA DIFFICILE - Arduino Nardella nasce a San Severo (FO) nel 1907 e come lui stesso racconterà “Nel momento in cui venivo al mondo, la grandine frantumò quasi tutti i vetri del paese e sfondò anche qualche tetto con chicchi che raggiungevano il peso di mezzo chilo”. Sicuramente questo fenomeno della natura dev’essere penetrato inconsciamente in lui, creandogli un temperamento fin da ragazzo “aggressivo, irrequieto, spesso rissoso” coi suoi coetanei, al punto che i vicini lo chiamavano “terremoto”. Di questi giovanili impeti e impulsi frenetici sarà densa la sua pittura, il cui immaginario ha prodotto opere angoscianti, sebbene nel suo profondo albergasse un desiderio latente di pace e quiete. Resta orfano di padre a cinque anni e mentre frequenta la seconda elementare, un vecchio pittore, detto il Quercia, nota i suoi “scarabocchi” e gli inculca le prime nozioni del disegno. Si entusiasma subito, anche perché, non avendo giocattoli, era l’unico suo divertimento, al punto che disegnare diventa la ragione essenziale della sua infanzia. La vita al suo paese, in quegli anni, è veramente difficile, soprattutto per lui, che da ragazzo è costretto a trascorre un’esistenza nella povertà più assoluta. Quelle privazioni, però, lo rendono forte, come poi scriverà: "A chi è privato di ogni cosa non si presentano che due alternative: o la disperazione del vinto o la certezza nella fede di chi vuol raggiungere la felicità di vedere e conoscere cose mai viste e mai conosciute da altri". S’appassiona al cinema e per poter assistere gratuitamente ai film, a undici anni, si offre di disegnare un cartellone-manifesto di tela cerata nera da collocare al centro della piazza di S. Severo, da lui dipinto con bianco lavabile, così da poter rinnovare soggetto e diciture a ogni variazione di programma. Il Quercia, però, lo sgridava, dicendogli che si sarebbe “rovinato la mano”. Il vecchio maestro lo aiutava senza compenso alcuno: "Io credo", dirà un giorno Nardella "che questo suo sacrificio era un voler continuare la sua opera attraverso di me, se penso al calore che metteva alle sue parole quando m’incitava a lasciare il paese appena fossi diventato grande...". E Nardella, che non aveva alcuna intenzione di diventare ragioniere e di restare in paese, a 16 anni abbandona gli studi e si arruola in Marina da Guerra, continuando comunque a disegnare, trovando tra i commilitoni acquirenti che gli offrivano in cambio pacchetti di sigarette o altre cose. Ma tre anni dopo, stanco di questa vita, ottiene l’esonero e si trasferisce a Milano, dove riesce a vivere preparando bozzetti pubblicitari e aprendo un’officina per stampare acqueforti in grandi serie, che in seguito cede ai suoi operai, perché come affermò lui stesso: "Sentivo che continuando così non avrei più potuto dipingere né disegnare e che adagio adagio sarei stato preso nelle spire non più dell’arte ma bensì degli affari". Nel 1940, realizza un’importante mostra personale e ottiene successo di vendita e di critica. La guerra, però, lo trascina nel Veneto; viene fatto prigioniero, ma riesce a sfuggire alla deportazione. Nel frattempo, continua a impegnarsi nella pittura, proprio in un periodo di grande disorientamento culturale, in cui si chiudeva un ciclo per dare un’impronta nuova all’arte. Il 25 aprile 1945 partecipa alla cattura dei 170 SS che avevano fatto saltare tutti i ponti di Verona e pur non appartenendo ad alcun partito politico entra nel Comitato di Liberazione Nazionale. IL SUCCESSO - A Milano, intanto, l’ambiente artistico è in fermento e dopo alcune traversie Nardella, con un gruppo di grandi artisti, che ho già ricordato in apertura, dà avvio all’Associazione Artisti d’Italia. Intraprende, alla ricerca di nuovi stimoli creativi, un viaggio a New York. Furono poi esposte negli Stati Uniti e alla Galleria Il Milione di Milano (con catalogo edito da Edizione del Milione, 1952), le opere ispirate a quella grande metropoli, in cui fu costretto a esemplificare di più la sua pittura, andando all’essenziale delle cose, in quanto vedeva natura, atmosfera, ambiente in altre proporzioni: "I grattacieli", scriveva allora "non erano quelli che comunemente vedevo al cinema o sulle cartoline: erano l’espressione della volontà di titani, volontà scarna e bruta. I rapporti architettonici fra pieni e vuoti creavano, però, effetti meravigliosi di equilibrio". A cavallo degli anni Quaranta-Cinquanta, l’entusiasmo di Nardella, definito da Francesco Flora “uomo d’azione e non come alcuni simpatici chiacchieroni”, prosegue a far rivivere Palazzo Reale a Milano. Qui, per un certo periodo si organizzano le importanti mostre dell’Associazione Artisti d’Italia, in cui egli espone i suoi quadri accanto a quelli dei più grandi pittori e scultori contemporanei. E’ in amicizia con tutti, ma in particolare con Mario Sironi, con cui s’intrattiene in serate indimenticabili a discutere di arte, in un periodo in cui Sironi è un po’ emarginato, per le simpatie politiche che tenne durante il ventennio. Ben presto, però, ci mette le mani la politica e lo spirito genuino e polemico dai toni aspri, lingua e penna tagliente, del pittore foggiano, non si adattano alla piaggeria e così egli finisce per essere emarginato dagli Amministratori locali. Infatti, in un primo momento, visti i suoi successi organizzativi, il Governo italiano lo designa come rappresentante della Presidenza del Consiglio dei Ministri nel Comitato artistico della Biennale di Venezia, ma non aveva fatto i conti con i gangli del sottobosco politico e culturale che costringe Nardella a rinunciare all’incarico. E’ il 1958 e sui giornali scoppiano polemiche su quella Biennale: De Chirico, Carrà, Sironi, Manzù, Funi, Savinio, Birolli e tanti altri si schierano con l’amico e si dichiarano “onorati di non essere nel museo degli orrori”; infatti, rinunciano a esporre alla Biennale di Venezia. Nardella resta, però, “disgustato e addolorato di tanta viltà” da parte di noti critici e giornalisti ancor più noti, che si opposero ad avere alla biennale “un uomo dagli occhi aperti, sulla cui lingua non cresce pelo”. Da quel momento si batte per sradicare quel malcostume elevato a sistema, per contrastare i mercanti d’arte, per salvare l’arte, ma, la sua, fu una battaglia contro i mulini a vento. In quel periodo, subisce anche dei sabotaggi; durante una sua assenza, gli spaccano un lucernario, rendendogli lo studio inservibile e molti quadri distrutti. La sua incostanza, la sua vis polemica, il suo non voler cedere di fronte a nulla (a Roma rifiutò una mostra e fece tornare indietro i quadri che aveva già spedito da Milano, perché il figlio di un Onorevole gli aveva intimato di cambiare il testo autobiografico sul catalogo di presentazione) gli rendono la vita dura. (Per far comprendere quanto egli fosse difficile da trattare per la classe politica, che a un certo punto non volle più saperne di lui, basti ricordare questo episodio. Era il 1952: illustri artisti, come Flora, Savinio, De Chirico, Sironi e altri, accompagnati da Nardella si presentano all’appuntamento del 13 marzo, ore 12.30, con il funzionario della pubblica istruzione xxx, a Roma. Alle 13,45 la segretaria annuncia loro che xxx ha telefonato dicendo che era stato chiamato dall’On. yyy e non sapeva quando sarebbe stato libero. Il caso ha voluto che, scesi per mangiare qualcosa in una trattoria lì vicino, trovano proprio quell’onorevole che pranzava solo. Verificato che costui non stava aspettando nessuno, Nardella ritornò sui suoi passi e lasciò un biglietto di fuoco sulla scrivania del funzionario: "... dinanzi a simile comportamento è nostro dovere rivolgerle formale protesta che non è soltanto quella di persone non meritevole di tanto irragionevole sgarbo... sgarbo che risolveremo per altra via". Il “gentiluomo” che lui chiama “mascalzone” è poi “saltato” e, per l’occasione, Nardella, scrivendo a un giornale, si chiede "come certi odiosi burocrati di un pubblico ufficio e dall’alta carica remunerata profumatamente possano, di quell’alto ufficio farne una bottega privata secondo i propri umori e interessi". Poi fa i nomi degli illustri artisti che erano con lui e continua "costoro sono già nella Storia della letteratura e dell’arte, ma lui dov’è finito? ...Quindi, o funzionari d’ogni paese, trattate il contribuente come si conviene a persone che vi mantengono per essere serviti e non certo per essere insultati"). LA SOLITUDINE - Nel 1967, la Galleria de Nieubourg con Franco Toselli ("La pittura di Nardella è un segno d’energia vitale e creativo") stampa biglietti d’auguri e cartelle con disegni di Nardella (il pittore, nel contempo per il Taccuino delle Arti, pubblica una sua lunga lettera, ricca di considerazioni artistiche, scritta alla Contessa Saint Pierre de Nieubourg). Sul finire degli anni Sessanta, importante è la mostra che la Galleria dell’Annunciata gli allestisce a Milano. L’artista, tuttavia, “schifato” da "…una città farraginosa, babelica… con lo smog che ti fa scatarrare come tu fossi un calamaro… con l’agente delle imposte statali e comunali che ti ghermisce anche quando dovresti dormire perché i suoi tentacoli si moltiplicano ogni anno come i cerchi nel tronco degli alberi…" e constatando che "l’esercito dei miei nemici aumenta sempre più con il passare dei giorni e degli anni" decide di ritirarsi sulla Costa Azzurra in un completo isolamento: "…davanti ho il mare e immediatamente alle spalle lo strapiombo della montagna…". E chiosa in uno scritto: "Nessuno sa dove mi trovo. Mi sono posto fuori dal mondo col quale sono legato soltanto con un filo, quello del telefono… Per concludere dirò che questa mia solitudine lo è soltanto nel distacco dalle cose rivoltanti… Ho molte cose ancora da dire… e da quando mi sono isolato, tutte le mie energie mentali e fisiche le ho messe con spirito libero e sincero nella pittura… E se non raggiungerò mai quella felicità che cerco da sempre, non mi potrò rimproverare di aver barato col mio sentire che è avulso da qualsiasi compromesso o accomodamento". Arduino Nardella muore a Nizza l’11 febbraio 1978 ed è sepolto a Roma, al cimitero Flaminio. Come già ricordato, sull’artista pugliese cade l’oblio, se si esclude la retrospettiva al Castello Svevo di Bari del 1981, curata da Pietro Marino e Achille Bonito Oliva che così concludeva il suo intervento di presentazione sul catalogo: "Nardella ha vissuto vari climi culturali, ma ha sempre mosso la sua opera nella direzione di una ricerca, quella delle proprie radici, non quelle mitiche e immobili di un passato irrecuperabile, bensì quelle di un sentimento del mondo che riesce a sopportare il peso di una condizione separata. L’arte è il campo magnetico in cui è possibile il movimento incessante verso l’impossibile unità, il luogo di un’inclinazione dei corpi e delle ombre ad assumere posizioni aperte a nuovi incontri". NARDELLA PITTORE - Artisticamente, Nardella s’impose con la forza e la potenza espressiva delle sue opere, vive e vibranti. La sua pittura, trattata da lui con tanta passione, forza e sincera irruenza, è fatta di pennellate spesse e dense, di colori cupi e di materie forti, dove le immagini acquistano una tridimensionalità, costruita in un mondo tattile ma immaginario. Lo stile di Nardella, dopo un figurativo tradizionale dalle cromie pacate e aderenti alla natura, tra verdi, arancioni, bianchi e blu, approda a un espressionismo materico, scuro nei colori, fino a un chiaroscuro in cui predomina il nero, che rendono gli ambienti fantasiosi, onirici, primordiali; in questa incrostazione, simile alla combustione, molte opere danno l’impressione d’angoscia e tormento. Certi “orridi”, alcune minacciose rocce o montagne, in atmosfere da tregenda, sono solcate da improvvise sciabolate di rosso infernale, su cui i critici spesero molte parole, ma che per lui rappresentavano solo l’amarezza e la rabbia recatagli da certi ambienti culturali. "Se ci sarà l’inferno", disse un anziano critico "Lucifero dovrà pensarci due volte prima di far entrare Nardella". Probabilmente, intendeva dire che il diavolo avrebbe avuto paura di essere spodestato. Eppure egli, nella sua materia grezza, è sempre plastico, sembra accarezzare i volumi e le forme, mentre il suo modellare è energico, vigoroso, così che i suoi paesaggi e le sue figure sono apprezzate soprattutto se osservate da una giusta distanza. A mio avviso, il suo dipingere non lo vedrei quale cupa angoscia, ma piuttosto quale vivida luce interiore, perché come lui diceva "ho cuore che batte e occhio che vede". Ottenne sempre, in occasione delle mostre, buone recensioni sia sulle riviste specializzate che sui quotidiani e giudizi favorevoli, da De Grada a Vergani, da De Micheli a Ragghianti, da Russolo a tutti i critici più quotati del momento, italiani ed esteri. (Giuseppe Possa)

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