Giochi dell'Oca e di percorso
(by Luigi Ciompi & Adrian Seville) |
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Nome autore: | Marca Stella |
Nazionalità: | Italia |
Città: | Milano |
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(dal 1925) Nel 1872 comparve sulla scena milanese Giuseppe Lebrun che sposatosi con Carolina Boldetti creò una società per “l’esercizio e lo sviluppo di uno stabilimento litografico”. Per un decennio i fogli dello stabilimento Lebrun-Boldetti subirono l’influenza francese, dalla quale presero anche il simbolo: una stella a cinque punte con l’aggiunta di una mezzaluna. Alla morte di Lebrun (1888) l’attività fu ceduta a Luigi Mercenaro ed Eliseo Macchi. Dal 1902 solo a Macchi e dal 1906 passò a Emilio Castiglione che dopo la prima guerra mondiale cedette l’attività a G. Abbiati. Pochi anni dopo (1925) l’attività cessò, ormai il marchio con la stella e la mezzaluna era finito, la Marca Stella prenderà il suo posto. Da Epinal a Milano Introduzione La qualifica di “Fabbrica d’Immagini” che figura per la prima volta sui fogli stampati dai coniugi Lebrun e Boldetti a Milano a partire dal 1872 ha un’origine francese. Ricalca infatti “Fabricant d’Images” o “Fabricant d’Imagerie”, espressioni molto comuni tra gli editori francesi di stampe a larga diffusione che operarono durante il XIX secolo. Sui fogli da loro prodotti questi termini venivano inseriti dopo il nome dell’editore e prima dell’indirizzo. Come ad esempio: “A Chartres, chez Garnier-Allabre, Fabricant d’Images, Libraire et Papetier, Place des Halles, N. 17” (1822-23), o “A Rennes, chez veuve Pierret, fabricant de cartes et d’images, rue de Berlin” (1836-61), o “A Caen, chez Alphonse Picard, fabricant d’Images, rue des Tenturiers N. 6” (1831-35). La parola “imagerie” ha un senso preciso nell’ambito della storia della stampa ed è ancora la più usata per intendere l’insieme di rappresentazioni destinate ad un vasto pubblico ma anche allo stesso tempo i fogli di carta sui quali quelle rappresentazioni venivano stampate. Nel passaggio dal francese all’italiano l’espressione assume una connotazione più emotiva ma molto meno legata alla concretezza del foglio stampato. Dietro il significato e l’uso di una parola si nasconde in realtà un fenomeno di una certa rilevanza che con diverse implicazioni caratterizzò il mercato delle stampe in Italia nella seconda metà dell’ottocento. Già Achille Bertarelli aveva evidenziato con una delle tante succinte osservazioni di cui è denso il suo L’Imagerie Populaire Italienne che: “... fra il 1820 ed il 1840... dalla Francia giunsero molte manifestazioni grafiche che le nostre officine, per insufficiente preparazione tecnica, non potevano produrre: carta da lettere adorna di sottili fregi d’oro, di figure, e di ghirlande di fiori; vignette da porre sulle tabacchiere; carte colorate e pieghettate per avvolgere dolci; ventagli e parafuochi; carte per tappezzare le camere dette carte da parato o “tapisserie de France”. Erano sempre le fabbriche francesi che ci inviavano sia le infinite varietà delle carte “gaufrées” (ossia con impressioni a rilievo) per le rilegature delle strenne sia le stampe edite dalla Vedova Turgis, Maesani, Agustoni, Cereghetti o dalle altre officine della Rue St. Jacques”. Inizialmente la influenza del gusto francese si era venuta a sovrapporre a quella del gusto figurativo di origine viennese. Ma negli anni delle guerre del Risorgimento e immediatamente dopo l’unità d’Italia si può parlare di una vera e propria invasione commerciale da parte della Francia. Si comprende quindi il giudizio negativo espresso da Bertarelli su questo periodo, che aveva visto un impoverimento della produzione degli stampatori italiani. Paolo Arrigoni, allievo e successore di Bertarelli alla guida della Raccolta nata dalla donazione delle stampe al Comune di Milano, si mantenne sulla stessa linea di interpretazione: “Una prova della raggiunta indifferenza del gusto popolare di fronte ai tipi locali e della conseguente facile accettazione di materiale grafico di ogni provenienza, anche straniera, è data dall’introduzione in Milano di stampe imitanti, sia nei soggetti che nelle forme esteriori quelle francesi, dette d’Epinal dal capoluogo di produzione, introduzione avvenuta verso il 1875 per iniziativa della Litografia Lebrun e Boldetti divenuta poi Marcenaro e Macchi e quindi Eliseo Macchi”. Tutto giusto, se non che oggi la storia delle immagini è meno condizionata da giudizi di valore e trova piuttosto spunto nella ricostruzione dei fenomeni, nelle reciproche influenze e negli scambi che in ogni epoca hanno caratterizzato il mercato delle stampe. Per cui ogni espressione grafica, nel suo insieme di caratteristiche tecniche, commerciali e iconografiche, ci presenta uno spaccato della società del suo tempo. Se poi queste espressioni grafiche possono essere seguite per circa 50 anni con l’avvicendarsi di diversi editori e di tecniche di stampa e rappresentano per la loro estensione e ricchezza quanto di meglio sia stato prodotto in Italia in quel determinato periodo, è ampiamente giustificato il tentativo di delinearne contorni più precisi e documentati. Pietro Clerc e Charles Pinot Pierre (Pietro) Clerc, francese, giunto in Italia nel 1859 con l’esercito di Napoleone III, si stabilì a Milano iniziando una duratura attività commerciale ed editoriale legata agli stampatori di Epinal. Nel Ruolo della popolazione di Milano, in cui Pietro Clerc risulta iscritto in una data imprecisata tra il 1860 e il 1870 con residenza in via Olmetto 7, è indicata la data di nascita: 4 giugno 1836. Clerc era nato a Salives in Francia da Anna Clerc e padre ignoto. La professione regolarmente registrata era: commerciante in libri. Sulle origini di questo personaggio cui si deve in parte la enorme diffusione dei fogli di Epinal in Italia si può formulare una ipotesi ricordando che durante il XVII, XVIII e XIX secolo nella quasi totalità dei casi chi si era occupato delle imprese nel mondo della stampa era ad esse legato o per nascita o per diretta esperienza lavorativa. Tra il 1830 e il 1842 aveva operato a Belfort, non molto distante da Epinal, un Jean-Pierre Clerc che aveva ristampato alcune silografie facendone poi incidere altre da Boulay, un incisore che molto lavorò per Pellerin di Epinal. Alla morte di Jean- Pierre Clerc la vedova nel 1843 vendette tutte le matrici in legno a vari stampatori tra i quali Dembour et Gangel di Metz e Pellerin stesso. Il fratello di J.P.Clerc, Joseph, fondò un’altra stamperia che il figlio diresse dal 1845 al 1873, specializzandosi nella produzione di libretti popolari. Era il nostro Pietro Clerc imparentato con i Clerc stampatori di Belfort? Sta di fatto che, una volta a Milano, Clerc riuscì ad organizzare un lavoro fiorente di vendita di stampe giovandosi evidentemente di legami preesistenti con gli stampatori di Epinal. In particolare è con Charles Pinot che Clerc ebbe uno stretto contatto. Pinot, nato a Epinal nel 1817, disegnatore di grandi qualità, dopo aver lavorato nella ditta di Pellerin, proprio nel 1860 fondò con Sagaire la “Nouvelle Imagerie d’Epinal” e Clerc ne divenne il depositario in Italia. La scritta “Deposito in Milano da P. Clerc” venne aggiunta non soltanto su tutti i fogli destinati al mercato italiano, ma si ritrova spesso anche in fogli circolati sicuramente in Francia. Per i testi di molte immagini edite da Pinot vennero addirittura allestite traduzioni in italiano, sia accanto al testo francese che al posto di questo, ad attestare la rilevante importanza dell’esportazione verso l’Italia. Al 1868 risale un calendario scritto in italiano stampato dalla “Imprimerie Pinot & Sagaire à Epinal” in cui figura: “Deposito in Milano da P. Clerc, presso Giocondo Messaggi Via Olmetto St. Alessandro n. 6”. L’accostamento di Clerc al nome dell’editore Giocondo Messaggi, abbastanza noto nella seconda metà del XIX secolo, è importante. Risulta dai documenti dell’archivio della Camera di Commercio di Milano che il 20 gennaio 1901 Carlo Clerc rilevò dal fratello Ferdinando l’azienda paterna “Ditta Editrice P. Clerc” per l’esercizio di editoria, libreria e legatoria e tipografia, e fra i testimoni dell’atto figurava la madre Maddalena Messaggi. Maddalena Messaggi era la figlia di Giocondo Messaggi e Rosa Bizzozzero, nata nel 1845, prima di quattro fratelli: Rachele nata nel 1847, Giobatta nato nel 1849 e Luigi nato nel 1850. Negli anni tra il 1865 e il 1870 era già sposata con Pietro Clerc poiché risulta abitante in via Olmetto 7 con il marito e il loro primo figlio Carlo nato il 3 aprile 1866. Giocondo Messaggi era nato a Treviglio l’1 dicembre 1818 e esercitava la sua attività di libraio in via Olmetto 4, poi 6, come è indicato anche in una sua etichetta pubblicitaria del 1870 circa in cui la ditta aveva la ragione sociale “G. MESSAGGI E FIGLI” “Specialità in libri da messa”. Il commercio e la produzione di libri e stampe sacre divennero prevalenti anche per Clerc negli ultimi due decenni del secolo, durante i quali l’indirizzo cambiò da via Olmetto alla diretta prosecuzione via Chiusa e infine alla attigua via Disciplini. Nella Guida di Milano per l’anno 1882 della Tipografia Bernardoni alla voce Tipografi, Librai ed Editori figurano sia “P. Clerc, Libraio-Editore in libri ascetici, via Disciplini 7”, sia “Giocondo Messaggi, Tipografo, Libraio, Editore e negoziante in oggetti di cancelleria e stampe sacre, via Olmetto”. Clerc rimase depositario dei fogli editi da Pinot anche dopo la morte di Sagaire nel 1872 e dopo quella dello stesso Pinot nel 1874, quando la ditta, continuata dal cognato di Pinot, assunse il nome di Olivier-Pinot. Clerc fu legato a Epinal almeno fino al 1886-1888, anni della morte di Olivier e della vendita della ditta da parte della vedova all’altro editore di Epinal, Pellerin. Tra il 1860 e il 1870, per circa un decennio, Clerc godette di una posizione privilegiata nel nuovo mercato dell’Italia unita. Non doveva temere la presenza dei tradizionali concorrenti tedeschi ad esempio delle fabbriche di Gustav Kuhn a Neu Ruppin o di Joseph Scholz a Mainz e neppure della concorrenza locale. Gli stampatori milanesi non erano in grado di allestire una produzione così specializzata che richiedeva capitali da investire nelle nuove presse litografiche, quantità di produzione adeguate e varietà di assortimento. Il successo dell’accordo Pinot-Clerc è anche da attribuire agli entusiasmi suscitati dalle vittorie del Risorgimento poiché molti dei soggetti dei fogli di Epinal erano riferiti alle battaglie e ai personaggi delle Guerre d’Indipendenza. La produzione di Pinot era comunque tra le migliori in circolazione in Europa dal punto di vista del disegno e della qualità tecnica della litografia e della coloritura. Lebrun-Boldetti Il 18 agosto del 1872 tra Giuseppe Lebrun, sua moglie Carolina Boldetti e i fratelli Francesco e Clemente Gondrand veniva creata una società “Per l’esercizio e sviluppo di stabilimento litografico” in via Cerva 8 a Milano. Non sorprende scoprire dai documenti che Lebrun era nato a Orne in Francia, mentre la moglie era milanese. Giuseppe Lebrun (Lebrum) era nato a Orne (Ornes) il 26 marzo 1828 da Giovanni e Anna Charles; Carolina Boldetti era figlia di Giuseppe Boldetti, caffettiere (1797-1860) e Angela Maggi, ed era nata nel 1826. I coniugi Lebrun Boldetti abitarono in via Gesù 21, per poi trasferirsi in via Cerva 35 vicino alla prima sede della loro litografia. Nella società appena fondata che prendeva il nome di “Stabilimento Lebrun Boldetti e C.” i Gondrand erano entrati come soci accomandanti portatori di un capitale di Lire 50.000, mentre Lebrun gestiva di persona il lavoro avendone evidentemente la necessaria pratica. Non sappiamo dove avesse acquisito questa esperienza, ma certamente in Francia e, a giudicare dai fogli più antichi prodotti da Lebrun si è tentati di pensare alle fabbriche di Epinal. E’casuale la coincidenza della data 1872, anno della morte di Sagaire socio di Pinot, e di fondazione della ditta milanese? Non possiamo dare una risposta perché non conosciamo la data esatta della venuta di Lebrun a Milano (nel 1859-60 si dovrebbe pensare) e la sua attività negli anni tra il 1860 e il 1872 in cui risulta residente a Milano e “impiegato”. Possiamo solo dire che i fogli editi da Lebrun-Boldetti negli anni tra il 1872 e il 1880 si rifanno da vicino a quelli di Pinot. Anche nel marchio la ditta milanese richiama la stella a cinque punte simbolo della “Nouvelle imagerie d’Epinal”, con l’aggiunta della mezzaluna sotto la stella. Stella e mezzaluna rimase il marchio di fabbrica dei vari stampatori succeduti a Lebrun Boldetti fino al 1930 circa e non è da confondere con la “Marca Stella” (a sei punte). Lebrun impostò la sua produzione rivolgendosi essenzialmente verso il mercato dei fogli per ragazzi. Un mercato in forte espansione in Italia, perché in ritardo rispetto agli altri paesi europei. Iniziò quindi a stampare in litografia fogli di teatri, di figure e pupazzi da ritagliare, fogli di storia naturale. La maggior parte di queste immagini è firmata da un disegnatore di cui non risulta traccia nei principali repertori: A. Dreux, francese anche lui e ben al corrente della produzione di Pinot. Nel febbraio del 1880 i Gondrand uscirono dalla società che prese la ragione sociale “Stabilimento Litografico Lebrun e Boldetti” e di lì a poco (1882-83) si trasferì nella nuova sede di via Vivaio 10. Intanto la produzione si era ampliata con una ricca serie di fogli di costruzioni, di presepi, di giochi da tavolo e libretti per ragazzi, oltre ad un’ampia gamma di fogli di soldatini. Per i soldatini era stata predisposta una più raffinata serie in cromolitografia, perché la riproduzione delle uniformi richiedeva una particolare precisione non ottenibile con la colorazione a maschera della litografia. Sull’esempio poi dei fogli di favole, di racconti e di immagini varie editi a Epinal era stata stampata una serie di una ventina di soggetti che è tra le creazioni più originali insieme ai fogli di costruzioni. Le vicende della stamperia Lebrun Boldetti sono paragonabili a quelle dei contemporanei stampatori spagnoli Estamperia Economica Paluzie di Barcellona che in modo analogo avevano preso come loro punto di riferimento i fogli francesi adattandoli alle esigenze locali. Marcenaro e Macchi, Eliseo Macchi Lebrun morì nel 1887 e nello stesso anno la vedova Carolina Boldetti vendette lo stabilimento di via Vivaio con tutti i macchinari e annessi a Luigi Marcenaro e Eliseo Macchi. Il 2 gennaio 1888 “nella casa in via Vivaio n. 10 piano primo”, di fronte al dotto Giuseppe Buttafava notaio residente in Milano, si riunivano per fondare una nuova società i signori: Crippa Emilio, Marcenaro Luigi, domiciliato in via Armorari 9, commerciante, e il sig. Macchi Eliseo domiciliato in Foro Bonaparte 54, commerciante, alla presenza di Carolina Boldetti. La società era costituita tra i tre soci con lo scopo di esercitare “il commercio in Litografia, immagini e generi affini” sotto la denominazione di “Crippa Marcenaro e c.”. I soci Marcenaro e Macchi concedevano alla Società l’uso dello stabilimento, macchine e mobili acquistati dalla vedova Boldetti, riservandosene la proprietà, mentre il socio Grippa conferiva la propria opera personale. L’accordo non doveva risultare soddisfacente per i soci perché poche settimane dopo, il 17 marzo dello stesso anno, il Crippa recedeva dalla società che assumeva allora la ragione sociale “Marcenaro e Macchi”. I fogli editi attorno al 1888-1890 recano la scritta “STAB. LIT. LEBRUN BOLDETTI DI MARCENARO E MACCHI PROP. EDIT. MILANO, VIA VIVAIO l0”, mentre nel corso dell’ultimo decennio del secolo la scritta si semplifica in: “LIT. MARCENARO & MACCHI, Milano”. A parte le vicende societarie con il passaggio da Lebrun Boldetti a Marcenaro e Macchi, la produzione non subì variazioni di rilievo. In pratica gran parte dei fogli editi da Lebrun si ritrova con le nuove diciture di Marcenaro e Macchi. Ma questo era di per sé uno scadimento, perché a distanza di dieci o venti anni la freschezza che caratterizzava le immagini di Lebrun degli anni ‘70 non poteva che essersi persa. Tanto più che altri stampatori a Milano attorno a quegli anni avevano iniziato la loro attività. Aristide Giore dall’agosto 1886 aveva aperto un “Commercio di oggetti di Cancelleria all’ingrosso e fabbrica di articoli per Cartoleria” in via S. Antonio 14, poi trasferito nel giugno del 1893 in via S. Vincenzino 4. Giore stampò serie di fogli di soldatini e di teatri da ritagliare utilizzando una tecnica cromolitografica e fotolitografica a colori molto brillanti e di notevole effetto. La ditta chiuse definitivamente nel 1917. Una serie di soldatini fu stampata negli stessi anni anche da Giovanni Gussoni che nel 1874 aveva acquistato la cessata attività del tipografo Antonio Ronchi in via Unione 5, per poi trasferirsi nel 1883 nel negozio dei Portici Meridionali di Piazza Duomo con tipografia e legatoria in via Marco Polo 19. A Giovanni Gussoni seguì il figlio Vittorio che il 16 aprile 1907 cedette la ditta a un collaboratore, Giovanni Serra, che proseguì l’attività fino al novembre del 1914. Con gli ultimi anni del secolo i progressi nelle tecniche di stampa si fecero sempre più rapidi ed anche nei fogli di immagini stampati a Milano si assiste al graduale passaggio dalla litografia colorata ai diversi tipi di cromolitografia. E da tenere presente il fatto che i vari processi potevano convivere ed essere combinati tra loro. Un caso particolare è quello della introduzione della macchina “Aquatype” per la coloritura ad acquarello a maschera dei fogli con una rapidità molto superiore alla coloritura manuale. Per la colorazione dei fogli di immagini una testimonianza diretta ci è stata lasciata da François Mathias, direttore dello stabilimento Pellerin, che con precisione descrisse lo svolgimento del lavoro all’interno della stamperia nei primissimi anni del ‘900. “A lato delle presse si trova una macchina per coloritura di recente invenzione che può applicare in una sola passata fino a sette colori diversi su un foglio precedentemente stampato in nero... Nel laboratorio di coloritura lavorano da 80 a 100 operai nella stessa sala... A un tavolo uno specialista dopo aver incollato una immagine stampata in nero su un cartone ritaglia le parti del disegno che dovranno poi essere colorate con uno stesso colore. Queste maschere richiedono una lunga preparazione per essere perfettamente asciutte e lisce. Il numero di colori varia da quattro a quindici... Le maschere, una per ogni colore, vengono passate ai coloritori che... poggiano il cartone del colore voluto sui fogli e lo tengono ben posizionato con la mano sinistra mentre con la destra passano un largo pennello imbevuto del colore corrispondente. Il lavoro si ripete per 500 fogli dopo di che si applica un’altra maschera e un altro pennello del colore successivo, fino al completamento dell’immagine. I colori sono ad acqua e vengono preparati dal responsabile della coloritura...”. Considerando che il numero totale di operai e impiegati di Pellerin era di circa 180 persone, la metà era adibita alla coloritura e si capisce l’importanza di questa fase di lavorazione per il successo dell’immagine finita. La macchina “Aquatype” era si enormemente più veloce, ma la coloritura ne riusciva un po’ più piatta e spenta con colori più acquosi forse per permettere il corretto funzionamento automatizzato. La introduzione di procedimenti fotografici di incisione nell’ultimo decennio del 1800 e all’inizio del ‘900 rese la produzione più flessibile e di conseguenza più economica. Già sulle immagini edite da Marcenaro e Macchi compare la scritta. “Fotolitografia dello Stabilimento”, ma è con il passaggio della ditta a Eliseo Macchi che si notano sensibili cambiamenti. Dall’1 gennaio 1902, essendo morto Luigi Marcenaro, l’attività viene proseguita dal socio superstite e la ditta prende la nuova ragione sociale “E. MACCHI”, dapprima sempre in via Vivaio l0, poi non lontano in corso Indipendenza 24, dall’altra parte della Piazza Tricolore, allora da considerare già spostata verso la periferia della città. Eliseo Macchi ristampò gran parte delle vecchie immagini di Lebrun Boldetti utilizzando più aggiornate tecniche cromolitografiche, ma introdusse anche molte nuove immagini legate ai più recenti avvenimenti come le spedizioni italiane in Africa (1894-96). Secondo quanto si può leggere direttamente su alcuni dei fogli stampati da Macchi la “specialità” della ditta consisteva in “Giuochi istruttivi, costruzioni su cartoncino, teatri, presepi, libri di varietà”. Di Eliseo Macchi la Raccolta Bertarelli conserva un “Campionario Generale dei Soldatini”, prezioso per ricostruire nella sua interezza l’assortimento in vendita nei primi anni del ‘900. De Castiglione, G.Abbiati Il 28 agosto 1906, a seguito della morte di Eliseo Macchi, si costituiva tra l’avv. Alberto Bonomi e Emilio De Castiglione una società in accomandita semplice sotto la ragione sociale “E. De Castiglione & c.” con sede in Corso Indipendenza n. 22-24. Oggetto della società era “l’esercizio dell’industria Tipo-litografica e rami affini col capitale di Lire 23.000 versato interamente dal socio accomandante Avv. Bonomi, mentre la gerenza e la firma spettano al De Castiglione”. Non conosciamo quali fossero i legami tra Eliseo Macchi e Emilio De Castiglione, ma è da pensare, in base al nuovo tipo di società, che De Castiglione fosse gerente o responsabile tecnico nella ditta già sotto Eliseo Macchi. Con De Castiglione il vecchio assortimento riproposto e ristampato comincia a mostrare i segni del tempo. La concorrenza è rappresentata principalmente dalla produzione tedesca che più di quella francese aveva investito nelle nuove tecniche di stampa. Basta confrontare un fondale di teatro, una costruzione, un foglio di soldatini prodotto dalla ditta J.F. Schreiber di Esslingen con analoghi fogli di De Castiglione perché le differenze balzino agli occhi. La varietà degli assortimenti, la precisione della stampa, la ricchezza dei colori sono tutte qualità dei fogli tedeschi che non si ritrovano nei fogli di De Castiglione, che comunque erano inferiori anche a quelli di altri editori milanesi dei quali si conoscono solo i marchi di fabbrica: la Marca Aquila, la Marca Stemma d’Italia e la Marca Stella. Non sappiamo con esattezza quando De Castiglione cessò l’attività, l’ultimo riferimento è relativo all’iscrizione alla Camera di Commercio del 1911, ma la ditta potrebbe aver proseguito fino alla fine della prima guerra mondiale. Certamente subito dopo la guerra la marca di fabbrica stella e mezzaluna e tutta la produzione di immagini erano passate nelle mani di G. Abbiati & C. Da un listino di Abbiati datato marzo 1922 con l’indirizzo di Milano, viale Lodovica 27, è possibile verificare quali immagini a distanza di quasi mezzo secolo dalla loro prima edizione erano ancora regolarmente in vendita. Quasi tutti i giochi da tavolo ed i presepi, ad esempio, erano ancora presenti nel listino, e così pure i fogli di teatro. Tra i fogli di costruzioni erano stati conservati solamente quelli che, come i monumenti della città, meno erano suscettibili di invecchiamento. Ai fogli in carta sottile in ogni caso Abbiati aveva sostituito un cartoncino che non aveva migliorato la qualità della stampa. E’ curioso verificare che nel foglio del Calendario Perpetuo erano stati sostituiti gli anni dal 1925 al 1930 a quelli dal 1880 al 1885 di Lebrun Boldetti e dal 1909 al 1914 di De Castiglione. La produzione di Abbiati era ormai senza nessuna pretesa, sia dal punto di vista della qualità della stampa sia per il mancato rinnovamento dei soggetti. Era una produzione a buon mercato destinata ad esaurirsi negli anni precedenti la seconda guerra mondiale. I fogli prodotti dalle ditte di cui ci siamo occupati sono conservati in gran numero presso la Raccolta Bertarelli, grazie anche all’apporto della donazione della collezione “Tonini”. E stato quindi possibile sia scegliere un congruo numero di fogli significativi per la mostra, sia tentare di ricostruire nella sua interezza quanto fu prodotto da questi stampatori milanesi del secolo scorso. Un elenco del genere oltre a fornire un completo panorama di quanto era disponibile cento anni fa, è utile come supporto ai non pochi collezionisti italiani e stranieri di questo tipo di fogli. Nella scelta di quanto esporre in mostra si è seguito il criterio di fornire un continuo confronto con la produzione di Epinal che abbiamo visto essere all’origine di molti fogli milanesi. Si sono inoltre evidenziate le differenze di tecnica di stampa tra i primi fogli editi da Lebrun Boldetti e gli ultimi editi da G. Abbiati con i vari passaggi intermedi. (Alberto Milano: in “Fabbrica di immagini, gioco e litografia nei fogli della Raccolta Bertarelli”. Catalogo Mostra 13 maggio-13 luglio 1993, Spazio Baj-Palazzo Dugnani. Ed. Vangelista, Milano). |
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